Come in un labirinto di specchi, il romanzo di Silvana Mazzocchi (Iacobelli editore, pp. 192, euro 16), presenta una struttura narrativa classica: Luisa torna nella casa dell’infanzia che deve essere venduta a seguito della morte di sua madre e lì, seppur non voglia, ritrova il suo passato.
Il primo giorno di permanenza in quella villa sulle colline incappa in un oggetto di Caterina, l’unico che desidera tenere con sé: una borsa rossa che contiene una lettera dell’amica Emma, che non ha mai avuto l’occasione di leggere. Sua madre e suo fratello, infatti, come si scoprirà procedendo nella lettura, hanno evitato di consegnargliela.

IL RACCONTO RUOTA allora intorno alla difficoltà di Luisa di riaprire quella lettera, o meglio il romanzo percorre la spirale di ricordi lunga una vita che porterà la protagonista ad accettare un’ambiguità che la perseguita, perché le è costitutiva: la sua natura borghese, razionale e la sua esperienza politica extraparlamentare negli anni ’70.
Il testo è costruito seguendo questi attraversamenti temporali secondo un’alternanza armoniosa: la gioventù di Luisa, l’amicizia con Emma che dura dall’infanzia, il loro solcare insieme il tempo delle rivolte studentesche – il romanzo si apre proprio con la descrizione di una manifestazione – si alterna al presente della donna, sola, nella casa di famiglia, dopo la morte di una madre astiosa.

A connotare la narrazione è di certo la lucidità della protagonista. Risulta infatti interessante nella lettura seguire il percorso di consapevolezza di Luisa, la sua capacità di comprendersi, di svelare come ogni ambiguità ne contenga un’altra, e ancora, proprio come in un labirinto di specchi. Per esempio, la razionalità che ha salvato la protagonista in gioventù e le ha impedito di fare scelte rovinose per se stessa e per gli altri, partecipando alla lotta armata, diventa attraverso un’analisi consapevole – ormai da donna adulta – anche un suo limite. In essa si nasconde una necessità di difendersi così radicata che le ha negato, nel corso della vita, di lasciarsi amare: «a ogni bivio, in ogni circostanza che abbia a che fare con sfide, emozioni, sentimenti o passioni, nasce in me una resistenza, un freno che mi impedisce di arrivare alla meta, di aderire a un progetto, un’esperienza, una relazione fino in fondo».
Probabilmente, proprio perché con Emma non era stato possibile mantenere quel freno, quella distanza, come avviene spesso nelle amicizie che nascono quando si è ragazzine, per Luisa la sua lettera, il ritorno dei ricordi del loro passato, diventa una chiave fondamentale per una comprensione profonda di sé.

NEL PROLIFERARE inevitabile di testi che raccontano storie familiari e personali, a colpire nel romanzo di Mazzocchi è il punto di vista molto raro della protagonista. A causa del rifiuto che sua madre le manifesta riguardo scelte di vita che non siano quelle obbligate di matrimonio e figli, Luisa non si attarda a lamentarsi, se ne va. Si allontana giovanissima dalla sua famiglia in modo irreversibile, nonostante il suo rapporto col padre avesse qualcosa di buono, ma che non era abbastanza. Tra le tante istanze di libertà che il ’68 raccontato nel romanzo aveva con sé, quella dalle proprie origini e da un io preconfezionato mantiene una potenza ancora attuale e sempre più significativa.