Ho intuito che gli alunni della scuola italiana di Addis Abeba, nella quasi totalità etiopi e italo-etiopi, avrebbero frequentato volentieri una biblioteca quando in classe ho iniziato a leggere a voce alta un libro di Lia Levi, Una famiglia formato extralarge. Io leggevo e loro ascoltavano, dato che c’era una sola copia del libro. Quando suonava la campana si infastidivano, chiedendomi di continuare ancora un po’.
Appena si liberò un’aula assieme ad alcuni colleghi organizzammo una «bibliotechina» d’istituto, con le librerie, banchi dove poter sedersi a sfogliare qualche rivista o giornale italiano, un elenco stampato dei volumi a disposizione, un bel batik dono di Bien, un artista del Togo. Gli alunni, entusiasti, aiutarono me e i bidelli a posizionare gli scaffali e a mettere in ordine i libri. Che non erano tanti, ed erano fondamentalmente frutto di donazioni di italiani che lasciavano l’Etiopia e non di un disegno preciso. Ma pian piano, chiedendo ai colleghi di buona volontà di portare due o tre volumi ogni volta che tornavano dall’Italia, siamo riusciti a incrementare il numero dei titoli.
Non ci sono soldi pubblici per acquistare libri per ragazzi desiderosi di leggere, e allora bisogna arrangiarsi.
In un periodo in cui nel mondo (occidentale) della lettura tutto sembra possibile, fattibile e semplice – scaricare libri, leggere giornali, auto pubblicarsi via internet, scrivere recensioni e via dicendo – ad Addis Abeba il libro ridiventa materico. I libri pesano, e a volte quando partiamo indossiamo giacche a vento, anche se è agosto, con le tasche piene di libri per non doverli mettere in valigia. I libri sono fatti di carta che si consuma e si sporca, di fogli che si staccano. I libri non vengono restituiti o si perdono, e qualche volta si ritrovano nei luoghi più strani, al bar, sui davanzali delle finestre delle aule, all’ingresso della scuola.
E ridiventando oggetti, i libri ridiventano vivi.
Gli alunni della scuola italiana di Addis Abeba hanno voglia di leggere anche perché le distrazioni e le loro possibilità di svago non sono infinite, come per i ragazzi occidentali. Le alternative sono assai poche. La società etiope non si preoccupa molto dei bambini e dei ragazzi. Per loro leggere, in italiano, inglese e amarico, ha l’antica valenza di evasione dalla realtà, riveste la funzione di dare risposte alle loro curiosità per un mondo – quello italiano e occidentale in generale – che sentono vicino, ma che probabilmente riescono a sentire vivo solo attraverso le parole di un romanzo. E infine riesce a far sognare loro un «altrove», in una nazione dove il diritto al sogno sembra essere privilegio di pochi.
All’inizio non capivo i loro gusti. I ragazzi chiedevano romanzi d’avventura «moderni», e io rispondevo perplessa: «Che tipo d’avventura?», domandandomi chi oggi scriva romanzi d’avventura così come la intendeva la mia generazione. Le ragazze chiedevano romanzi d’amore, magari con vampiri. Alcuni volevano libri realistici ma con il lieto fine. Altri ancora volevano libri «che finissero in fretta». Mi guardavo attorno, indecisa, consigliando titoli che spesso trovavano difficili o poco interessanti.
Ho cominciato a migliorare i miei suggerimenti quando, conoscendoli meglio, ho intuito i loro desideri e il loro modo di intendere il nostro mondo. E quando ho seguito il mio istinto, assecondando in parte i loro gusti adolescenziali, simili a quelli dei nostri ragazzi, e in parte suggerendo i libri che piacciono a me, cioè i libri «belli», classici nel senso letterale del termine, appartenenti alla «prima classe», cioè «i migliori».
Così dopo i vari Tre metri sopra il cielo, Twilights e Harry Potter, li ho visti leggere Salgari, Jane Austen, Primo Levi. Ho visto tornare in auge Cuore e Pinocchio, leggere con gusto Ammaniti, Carlotto, Lucarelli e Lia Levi, i romanzi storici di Valerio Massimo Manfredi, li ho visti divertiti da Jack frusciante è uscito dal gruppo. Ma anche prendere in prestito poesie, saggi, opere teatrali come l’intramontabile Romeo e Giulietta.
Faccio scrivere un breve giudizio su ogni libro letto e un indice di gradimento su delle schede, di modo che i compagni possano consultarle, e li faccio parlare tra loro, azionando il passaparola.
E mentre giro per la scuola e vedo le bidelle Fiore e Abeba sfogliare riviste italiane di moda e cucina, il bidello Frazer leggere L’Espresso, il bidello Nagash chiedermi «Professoressa, vorrei un altro libro bello bellissimo come questo, che si capisce proprio bene», indicando Jimmy della collina, gli alunni che mi aspettano fuori dalla biblioteca per prendere o restituire libri sempre più logori, sono contenta.
Perché un mondo dove tutti leggono mi sembra un mondo migliore.