La Tucker li ha presi in distribuzione italiana entrambi, Wheel of Fortuny and Fantasy, Orso d’argento all’ultima Berlinale, e Drive My Car, il colpo di fulmine del festival di Cannes – dove ha vinto il premio per la migliore sceneggiatura – mostrando ancora una volta una speciale attenzione alle nuove sensibilità del cinema contemporaneo. Il primo è in sala da oggi (il secondo ci arriverà il 23 settembre), sono due film magnifici che confermano il loro autore, Hamaguchi Ryusuke, uno dei registi più talentuosi del momento, capace nella sua narrazione di restituire con leggerezza la grana dei sentimenti e il flusso della vita.
Wheel of Fortuny and Fantasy (titolo internazionale), che in italiano diviene Il gioco del destino e della fantasia è una variazione intorno ai sentimenti amorosi che apre le sliding doors nelle esperienze dei personaggi protagonisti, avventurandosi tra quegli atti mancati che ne punteggiano il movimento così come gli imprevisti, i malintesi, le parole dette d’impulso o taciute, le scelte che hanno messo da parte qualcos’altro, qualcosa la cui essenza si fa preziosa quando arriva la consapevolezza di averla perduta per sempre.

IN TRE CAPITOLI, che sono tre storie, incontriamo altrettante figure tutte femminili nel confronto con improvvisi «fantasmi» di un passato che attraversa ancora – e determina – i loro stati d’animo. Due amiche conversano in taxi, una racconta all’altra il suo ultimo incontro con un ragazzo, hanno passato insieme moltissime ore senza fare sesso perché lei non ci riesce mai al primo appuntamento. Lui le ha parlato di una «magia», non si sono ancora rivisti ma chissà. L’altra ascolta, fa domande, a sua volta dice di sé, poi all’improvviso rimasta sola compie un detour verso una diversa meta; un ragazzo, il suo ex che ha tradito ma che ora sa di amare di nuovo di fronte al sentimento di averlo adesso davvero perduto. è solo egoismo o è invece l’incertezza che non rende possibili alcune relazioni anche se sono quelle fondamentali?

Nel secondo due amanti progettano un inganno contro il professore del ragazzo che vuole vendicarsi perché lo ha bocciato. L’uomo è uno scrittore, la ragazza prova a sedurlo ma qualcosa si rovescia, la parola delle pagine dell’uomo apre inediti spazi di confidenza. Una possibile amicizia, una complicità, un’attrazione? Chissà. Un errore banale, una sola vocale, cambierà tutto. Nel terzo una giovane donna torna nella città dove è cresciuta per una riunione scolastica, siamo in un futuro nel quale un virus ha cancellato ogni strumento informatico. Cerca in realtà la ragazza di cui era innamorata che scambia per un’altra: tra le due inizia una finzione o è forse quello lo spazioo della reciprocità possibile, laddove riuscire a dirsi quanto taciuto per anni?

È la trama impalpabile di emozioni e stati d’animo che Hamaguchi Ryusuke coglie con precisione, e lascia affiorare a sua volta, proprio come accade ai personaggi, nella sua scrittura cinematografica, nei dialoghi che liberano emozioni e malinconie, che «provocano» uno spazio nel quale ciascuno di loro può essere libero di trovare una voce a sé stesso. C’è nelle vite di tutte le giovani donne qualcosa che è anche molto vicino al rimpianto, la malinconia di avere sfiorato un incontro importante e di averlo lasciato andare via. Ma senza rancore o amarezza, nel confronto col proprio presente ognuna cerca un altrove e però è a consapevole di una realtà che ormai è mutata; con dolcezza, slancio, irriverenza, un po’ di follia.

PARLARE di amore di sentimenti potrebbe sembrare impossibile di fronte al patrimonio infinito di variazioni sul tema. Eppure il regista giapponese trova una sua forma diversa, una parola appunto che nella sua messinscena con semplicità e in modo diretto sa esprimere quanto sembra impossibile racchiudere nell’ immagine.
E in modo universale, tra le strade di Tokyo o negli interni di una bella casa in provincia la sua poetica si avvicina con pudore alla crudeltà o alla commozione di questo «destino» che cambia la vita. Non esistono regole se non quelle dell’improvvisazione che fa vivere la sua regia (molto controllata) sul bordo del tempo e dei suoi sussulti, nelle tracce di un vuoto che rimane, di un’assenza che caratterizza le sue storie e che ritorna in ogni suo personaggio.

ATTIMI di un passaggio, di una trasformazione netta e insieme impercettibile, in cui affiora quanto di più segreto si perde nell’abitudine del quotidiano, o viene celato nell’imbarazzo di ammissioni troppo dolorose. È anche questa una « magia» che accade nelle sue immagini, in una intuizione di un cinema che riesce a ogni incontro a conquistare lo sguardo.