Sulle mascherine si è detto tutto e il contrario di tutto. Servono, non servono, servono solo le FFP1 e 2. No vanno bene anche quelle chirurgiche. Sono utili per proteggere gli altri. No servono per non farsi infettare.

Essendo gli italiani un popolo creativo, c’è chi, non trovando maschere in commercio, ha recuperato qualche pezzo di stoffa, i propri rudimenti sartoriali e si è inventato mascherine perfettamente pieghettate a fiori, righe, pois, tinta unita, damascate, con gli strass o le perline. C’è da giurare che qualche stilista le riproporrà nelle prossime sfilate.

Le mamme e le nonne hanno volentieri collaborato, qualcuna mormorando, dubbiosa: “Non avrei mai pensato che a 92 anni avrei dovuto fare una roba così”. Il fatto che tali manufatti proteggano davvero dal virus è apparso secondario, l’importante è adeguarsi e salvare le apparenze.

Devo tuttavia deludere i miei connazionali perché il premio della maschera più surreale va a uno svizzero. Piccola premessa. Per una serie di ragioni affettive, vivo parte dell’anno a Locarno e proprio facendo la spesa in un supermercato dei dintorni ho visto quanto segue.

Reparto frutta e verdura, pochi clienti attenti a mantenere le distanze. Alzo lo sguardo dall’insalata e vedo un signore con indosso un impermeabile verde e con le mostrine, guanti di lattice e una di quelle maschere antigas che avvolgono tutta la faccia e hanno davanti alla bocca una specie di proboscide, più o meno come quelle che si usavano nella seconda guerra mondiale.

Mentre lo fisso basita come tutti gli altri presenti, incrocio lo sguardo di un uomo che mormora: “Mi sembra un po’ eccessivo. Quella roba lì la usavamo al servizio militare quando facevamo le esercitazioni contro gli attacchi chimici” e se ne va scuotendo la testa.

Il signore mascherato ha sicuramente conservato tutta la dotazione militare in un armadio, cosa per altro normale in un Paese dove si è richiamati periodicamente a seguire corsi di ripetizione per rinfrescare le conoscenze militari acquisite.

Deve aver pensato che questo era il momento giusto per disseppellire l’armamentario al grido di “Tutti all’assalto del virus”, anche se doveva solo comprare le mele.