È ufficialmente terminata con le elezioni politiche di domenica scorsa l’anomalia spagnola, che consisteva nel non aver ancora visto sorgere una destra sovranista dai tempi della fine della dittatura. Vox ha infatti ottenuto il 10,2% dei consensi (nelle precedenti elezioni legislative del 2016 aveva preso un innocuo 0,2%) e per la prima volta entrerà nel Parlamento spagnolo con 24 deputati. Ma sebbene sia un risultato per alcuni versi storico, e imprevedibile fino a poco tempo fa, il consenso ottenuto dal partito nazionalista è in realtà inferiore alle attese e alle previsioni dei molti, commentatori e sondaggisti, che mormoravano neanche troppo sibillinamente di un «voto occulto», paventando l’avanzata di una marea nera ben più pericolosa. Sono stati comunque oltre 2,6 milioni i cittadini spagnoli che hanno dato fiducia a Vox, il partito di estrema destra fondato da Santiago Abascal, l’ex funzionario basco del partito Popolare che per provare a sconfiggere la derechita cobarde (destra codarda), accusata di essere stata troppo timida sulla questione catalana, ha cercato in tutti i modi di ridar voce al mito un po’ consunto dell’hispanidad, facendo leva sulle pulsioni anti-secessioniste delle regioni del Sud, rianimando il dibattito sulla sacralità della corrida, e puntando sul tema sovranista per definizione, quello dell’immigrazione illegale, fino a compiere il simbolico e supremo gesto di inaugurare la sua campagna elettorale a Cavadonga, nelle Asturie, dove la leggenda vuole sia iniziata la Reconquista contro i Mori. Il tutto giocando con un tipo di linguaggio che senza essere troppo esplicito rimandava ad un immaginario vagamente franchista, nonostante gran parte dei suoi elettori siano fortunatamente nati senza aver mai conosciuto la dittatura.

Un trionfo di propaganda e di retorica che ha coinciso con un sentimento diffuso di malessere verso la vecchia politica, forte sopratutto a destra, e che ha permesso a Santiago Abascal di ottenere consensi diffusi in quasi tutto il territorio. Se si eccettua la modesta performance del partito nazionalista nei Paesi Baschi (2,21%) e in Catalogna (3,6%), facilmente spiegabile con la dichiarata volontà di Abascal di eliminare ogni forma di autonomia. È invece Murcia la regione dove Vox ha ottenuto il consenso più alto, un sorprendente 18,6%, arrivando a essere primo partito nella cittadina di Torre Pacheco, dove un terzo dei suoi abitanti sono immigrati e dove il partito ha superato i popolari, che nelle elezioni del 2016 avevano oltrepassato il 50% e ora hanno visto i propri voti scendere sotto il 25%.

Continua anche la crescita andalusa per il partito di estrema destra, che rispetto alle regionali dello scorso 2 dicembre conquista oltre 200mila voti in più, molti provenienti dall’astensione, e arriva al 13,3%, terzo partito dopo Psoe e Pp. Numeri che salgono al 19,5% in provincia di Almeria, la zona del cosiddetto mar de plastico, come viene soprannominata questa vasta area costiera dove a partire dalla fine degli anni Settanta si è sviluppata la più alta concentrazione di serre al mondo. È qui che lavorano la maggior parte dei migranti che arrivano ogni anno dal Marocco ed è dunque qui che si è sviluppata la macchina propagandistica in tema di immigrazione messa a punto da Vox. Una strategia vincente, a giudicare dai meri dati, che premiano l’estrema destra, addirittura primo partito nelle cittadine di El Ejido (30%), dove a fine maggio l’ambizione è quella di ottenere il primo scranno municipale, e di Níjar (28,4%), epicentri della zona del mar de plastico. Da evidenziare infine il discreto risultato ottenuto nell’area di Madrid, dove Vox ha ottenuto il 13,6%, prendono più di qualche voto nei quartieri popolari cittadini.

Ora ad Abascal non resta che chiudere in bellezza il trittico elettorale alzando ancora un po la voce contro l’Europa, in vista delle elezioni europee di maggio. Magari provando in extremis a modificare il tiro della sua strategia mediatica, a suo dire insoddisfacente. «Probabilmente abbiamo sottovalutato la capacità dei media di plasmare l’opinione pubblica», ha riconosciuto al termine di quest’ultima campagna elettorale, evidenziando il peso e l’influenza dei media tradizionali. Anche su questa questione, l’Italia può fare da apripista.