Nel giorno della vittoria di Hillary in Carolina, sulle primarie Usa continua a tenere banco Donald Trump, all’antevigilia del supertuesday e all’indomani dell’endorsement che il miliardario ha incassato da Chris Christie.

In South Carolina Hillary si è presa un trionfo annunciato, costruito in questo stato nero al 50%, sui legami storici dei Clinton con la community afro americana. Ma intanto è già scattato il conto alla rovescia per il “super martedì” in cui verranno assegnati delegati in 12 stati e tutto indica che in campo repubblicano Trump registrerà l’ennesima infornata di vittorie. Se i pronostici, come hanno fatto finora, verranno confermati e Trump si aggiudica una media del 35% dei voti, potrebbe consolidare un vantaggio di 100 delegati sul prossimo classificato (per vincere ne servono 1237) e possibilmente chiudere la partita entro il 15 marzo quando voteranno un altra manciata di stati compresi Ohio, Florida e Illinois.

È un calcolo che chiaramente ha già fatto l’ex candidato Christie. Il governatore del New Jersey rappresenta la prima defezione importante dai ranghi del partito a salire sul carro sempre più vincente di Trump. Comincia insomma ad esserci la palpabile sensazione di inevitabilità attorno all’iconoclastico demagogo e un’America incredula si trova a capacitarsi del fatto che, come ha scritto Matt Taibbi su Rolling Stone «questo rozzo, monosillabico tiranno da reality TV, con l’attenzione di un undicenne che gioca ad X-Box, possa davvero devastare la più impenetrabile oligarchia mai escogitata nel mondo occidentale».

La soverchiante cifra di Trump infatti, malgrado le esternazioni xenofobe e bellicose non è certo un estremismo conservatore ma una sorta di eterodossia liberatoria quantunque venata di un sinistro autoritarismo. Un ultracorpo che non ha precedenti nel panorama politico Usa e che ha preso alla sprovvista il sistema fondato su partiti, finanziamenti corporativi e filtro dei media. Una storica crisi strutturale del bipartitismo americano che se portata a termine sarà venuta non dai ciclici riformismi, dal socialismo anni 30, dal movimento dei diriitti civili,insomma dalle sfide politiche al sistema, ma da un nichilismo anarcoide che rappresenta il trionfo dell’antipolitica.

Accade così che in questo 2016 una primaria che doveva essere “normale” e perfino favorire il partito di opposizione dopo 8 anni di mandato democratico, trovi invece il partito repubblicano allo sbando. A far fronte “all’alieno” Trump c’è un campo frammentato come non mai. Gli oltre dieci concorrenti di un paio di mesi fa sono diminuiti a quattro che sono ancora abbastanza per dividere il possibile voto anti-Trump e garantire che anche col 35% il miliardario continui la sua marcia sulla nomination per la Casa bianca.

Uno scenario da incubo che comunque impallidisce a confronto a quello davvero terrificante di una vittoria a novembre e dell’insediamento di un presidente Trump alla casa bianca. Rimane l’ipotesi di un atto finale nella convention di luglio, altrimenti si profila la sfida conclusiva di Trump con l’avversario democratico. Per quanto Obama ribadisca di avere fiducia in ultima analisi «nel buonsenso del popolo americano», sullo sfondo del populismo trasversale di Trump, capace di fare appello a settori non ancora quantificati di rancore bipartisan, l’esito potrebbe essere incerto. E nell’anno dell’insurrezione antipolitica esserlo di ancora di più contro Hillary Clinton che più di ogni altro candidato incarna “il sistema” politico in tutti i suoi aspetti.