I Fratelli musulmani sono pronti a tutto. Anche a marciare verso le sedi dell’Intelligence militare pur di dimostrare di essere le vittime di questo gioco al massacro che ha causato la strage del 26 luglio, nella quale hanno perso la vite oltre 80 persone. Dopo l’accusa agli islamisti di aver premuto il grilletto, al ministero degli Interni sono arrivate anche le prime ammissioni. 11 delle vittime dei giorni scorsi a Rabaa el Adaweya e tre a Nadha, la piazza dell’università del Cairo, hanno chiari «segni di tortura». Non solo, per tutta la giornata di sabato una sassaiola continua ha colpito l’Università di Al Azhar per le critiche mosse dagli abitanti del quartiere all’occupazione permanente voluta dai Fratelli musulmani.

E così oggi torna la contestazione dei milioni, ma potrebbe essere valicata l’ultima frontiera. Le proteste fino a questo momento si sono rivolte contro stazioni di polizia, sedi di partito, ma, per la prima volta dopo gli attacchi alla Sicurezza di stato dell’aprile 2011, potrebbero coinvolgere direttamente caserme e edifici militari. L’esercito ha annunciato che non perdonerà nessuna marcia verso le sue infrastrutture, mentre il ministero dell’interno sta preparando lo sgombero di Rabaa al-Adaweya.

A sostegno del deposto presidente Morsi è arrivata, dopo giorni di silenzio e inviti a non manifestare, la fatwa dello sheykh Yusef Qaradawi, che dal Qatar ha anche chiesto al capo delle Forze armate egiziane Sisi di ritirarsi dalla scena politica per proteggere la democrazia.

A chiarire come il futuro politico dell’intera corrente islamista sia in bilico è giunta una notizia inattesa: due leader del partito islamista moderato Wasat (centro) sono stati arrestati al Cairo e trasferiti nella prigione di Tora, alla periferia della capitale egiziana. Si tratta di Abul-Ela Madi, fondatore del partito, e il suo vice Essam Sultan. Questa corrente rappresenta il primo tentativo di legalizzazione del movimento islamista dalla sua clandestinità. E così businessmen pragmatici tentarono la creazione di un partito di centro, precursore della Fratellanza. Colpendo questa componente moderata si compromette ulteriormente la normalizzazione politica dei movimenti islamisti egiziani e si prepara la strada alla marginalizzazione politica della Fratellanza, che potrebbe riportare il movimento a svolgere soltanto la sua tradizionale funzione di sostituzione dello stato tra le classi disagiate, come organizzazione non governativa.

A rafforzare i timori di isolamento generalizzato degli islamisti sono arrivate le parole di condanna per le violenze dell’esercito di Moneim Aboul Fotouh, ex leader della Fratellanza e candidato alle elezioni presidenziali. Fotuh ha accusato il ministro delle Forze armate di voler portare il paese sull’orlo di una guerra civile. Uno scenario che viene negato a gran voce e a ragione dai Fratelli musulmani, che avrebbero tutto da perdere da un’estensione generalizzata delle violenze. Gli scontri sono proseguiti nello scorso fine settimana anche nella città costiera di Port Said. Durante i funerali di una vittima degli scontri del 26 luglio ci sono stati nuovi incidenti tra pro e anti Morsi che hanno causato decine di feriti.

Infine, a 26 giorni dal golpe, sono arrivate le critiche dagli Stati uniti. «La violenta stretta dei militari egiziani sui dimostranti è un passo indietro verso la democratizzazione del paese»: ha detto il portavoce della Casa Bianca Jay Carney. Mentre è arrivata ieri al Cairo Catherine Ashton, Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue per colloqui con il presidente ad interim Adli Mansur e i leader dei Fratelli musulmani. Ashton ha detto di essere impegnata per favorire un processo di transizione inclusivo. Il rappresentante europeo ha anche incontrato Baradei che le ha assicurato come le forze di polizia tenteranno di evitare altra violenza dopo il bagno di sangue dei giorni scorsi. Non solo, secondo la stampa locale, Ashton potrebbe fare visita in carcere all’ex presidente Morsi.
Sono però decine gli incontri diplomatici che proseguono dietro le quinte. Gli islamisti muovono dure critiche alla visita del presidente palestinese Abu Mazen al Cairo. Secondo loro è legata alle accuse di connivenza con Hamas mosse contro il presidente Morsi e per la presunta presenza di combattenti del gruppo nel Sinai. Anche dagli Stati uniti sono arrivate telefonate continue del segretario di Stato John Kerry e del segretario alla Difesa Chuck Hagel con l’omologo egiziano Abdal Fattah Sisi per una soluzione negoziale della crisi.