Impossibile scorrere le foto pubblicate ieri su Twitter dal giornalista Mahir Zeynalov (@MahirZeynalov), poi riprese dai media, e non provare un brivido. Giornalisti, reporter, colleghi, scendono una scalinata circondati da poliziotti che li tengono per le braccia. Alcuni sfidano con lo sguardo, altri hanno la testa bassa.

Gli arresti che il regime di Erdogan ha ordinato negli ultimi giorni, sulla base di supposti legami con i golpisti del 15 luglio e il movimento dell’imam Gülen, non hanno giustificazione. Dei 42 giornalisti contro i quali è stato spiccato un mandato d’arresto, 11 sono andati all’estero e 9 sono ricercati. Gli altri sono in manette: 20 di loro ieri scendevano la scalinata della corte di Istanbul che ne ha confermato la detenzione.

Tra loro la famosa commentatrice tv Nazli Ilicak, il reporter di Hurriyet Arda Akin, Bulent Mumay (che pochi giorni fa ricordava come negli anni è stato tacciato dal governo di ogni possibile simpatia, dai kurdi del Pkk ai marxisti del Dhkp-C fino al presidente siriano Assad), il giornalista investigativo Bunyamin Koseli, l’esperta di cronaca giudiziaria Busra Erdal (con reportage che non sono piaciuti al governo dell’Akp, l’editorialista di al Monitor Ufuk Sanli. E via a scorrere, lungo la linea tracciata dalla paranoia autoritaria.

La campagna di punizione collettiva prosegue inesorabile, come nulla fosse. Dopotutto l’alleato europeo che versa miliardi di euro nelle casse di Ankara non fiata. Mentre i giornalisti venivano portati in tribunale, venivano pubblicati i numeri sugli arrestati nell’esercito.

Alle forze armate turche è saltata la testa: di 358 generali, 178 sono agli arresti. Il 44% dei vertici dell’esercito è evaporato: 87 generali delle forze di terra, 30 dell’aviazione, 32 della marina, 7 della gendarmeria e uno della guardia costiera. Un numero che non combacia con quello dei soldati considerati coinvolti nel tentato golpe: secondo l’esercito vi hanno preso parte 8.651 militari, l’1,5% del totale.

Delle due, l’una: o i vertici golpisti contavano solo sulle proprie forze o la loro espulsione era in programma da tempo. È ormai chiaro che Erdogan non ha dovuto aspettare il 30 agosto (data classica di pensionamento nelle forze armate) per la pulizia che aveva già in mente. Ora il passo successivo è scontato: assumere il controllo definitivo dell’esercito con figure a lui vicine, stessa procedura adottata nell’università.

E mentre ieri il terzo ufficiale si toglieva la vita in custodia, il premier Yildirim annunciava la chiusura delle basi militari ad Ankara e Istanbul utilizzate dai golpisti. Andranno sostituite e la soluzione c’è già: aprirne di nuove lontano dalle grandi città.

E a chi muove critiche, Erdogan risponde con rabbia: il generale Votel, capo del Comando Centrale dell’esercito Usa, è stato accusato dal presidente di essere a fianco dei golpisti per aver detto che simili epurazioni di massa danneggiano la guerra all’Isis.