Il New York Times l’ha chiamata la «scissione cinese», termine coniato dall’esperto di tecnologia Farhad Manjoo per indicare quell’insieme di caratteristiche che fanno del mercato del Regno di Mezzo, il miraggio che incanta migliaia di politici e businessmen in tutto il mondo, un mercato molto particolare e che di fatto rimane chiuso alle imprese straniere a dispetto di 40 anni della politica di «riforma&apertura». Si tratta di una realtà «afflitta da regole opache e che cambiano continuamente e da un modo astruso di fare affari – scrive Manjoo – (nella quale) le compagnie americane vengono sconfitte da una serie di giganti locali. Invece di Google, Baidu.

Invece di Facebook, WeChat, che è di proprietà della gigantesca Tencent, E invece di Amazon, Alibaba». Insomma «oggi c’è un’Internet cinese e un’Internet per il resto del mondo». L’ultima vittima dell’illusione è Uber, la compagnia americana che sta rivoluzionando il mercato del trasporto urbano. Nonostante Uber abbia fatto in Cina, al contrario di altri, tutte le mosse giuste: «Uber – afferma la rivista Quarz – ha fatto la corte ad una serie di investitori cinesi per le sue operazioni in Cina, tra cui Baidu, il popolare motore di ricerca locale e compagnie statali, ha anche assunto localmente lo staff, lasciandogli l’autonomia sul modo di gestire gli uffici». Inoltre Travis Kalanick, il giovane e aggressivo Ceo di Uber, ha diretto personalmente le operazioni cinesi, diversamente da quanto ha fatto in altri mercati.

Qualcuno ha sostenuto che in fondo Uber ha fatto un buon affare, dato che ha lasciato il mercato al suo principale concorrente – la cinese Didi Chuxing – entrando però nella compagnia con una quota del 20%. Siccome si ritiene che Uber abbia speso due miliardi di dollari nell’assalto alla Città Proibita e l’attuale valore in Borsa di Didi è di 35 miliardi, Kalanick ne uscirebbe con una presenza sul mercato cinese e un utile di 5 miliardi. Però, i due miliardi li ha spesi veramente, i 7 della sua partecipazione nella Didi sono teorici.

Ad altri è andata peggio: Mark Zuckerberg di Facebook ha studiato il mandarino, ha partecipato ad una maratona a Pechino in uno dei giorni più inquinati della storia e non perde occasione per tessere le lodi del segretario del Partito Comunista e presidente della Repubblica Xi Jinping. Eppure, Xi lo lascia fuori dal Tempio. Google è stata cacciata nel 2010 per essersi rifiutata di sottostare ai diktat della censura. Amazon è sempre stata e rimane marginale. Apple fino ad oggi si è salvata perché non ha diretti concorrenti locali ed è molto popolare tra i consumatori cinesi. Ma è di poche settimane fa la notizia che sono stati banditi dalla Cina due dei suoi prodotti di successo, l’ iBooks Store e iTunes Movies.
Daniel H.Rosen del Rhodium Group, un gruppo di consulenza specializzato sull’economia cinese, ha dichiarato al New York Times che «(i cinesi) sono interessati a proteggere i contenuti che i cittadini cinesi vedono, controllando la sicurezza nazionale e (allo stesso tempo) favorendo le imprese locali come Huawei, Alibaba e Tencent». Nelle parole dello stesso Xi Jinping, «la Cina deve migliorare la sua gestione del cyberspazio e lavorare per assicurare contenuti di alta qualità con voci positive che creano una cultura salutare e positiva che sia una forza per il bene».

Un chiaro esempio di cosa intenda con queste parole il leader cinese lo ha dato ricevendo e lodando pubblicamente, due anni fa, il blogger Zhou Xiaoping, un estremista nazionalista che incita regolarmente all’odio verso Occidente e Giappone. Prima dei cowboy della Rete, anche il «mago» delle televisioni Rupert Murdoch ha sbattuto il muso sulla Grande Muraglia del mercato cinese.

Per 20 anni ha corteggiato gli inquilini di Zhongnanhaicompound dove vivono quasi tutti i dirigenti cinesi. Ha investito in un’impresa del figlio dell’ex-presidente Jiang Zemin, ha visitato la Cina decine di volte, ha mandato in avanscoperta la sua ex-moglie cinese Wendy Deng, una donna che probabilmente, al contrario di molti «esperti» occidentali, sa che in Cina il concetto di legge è vago, che le relazioni personali sono la cosa più importante e che, come e più che in altri posti, la vicinanza al potere politico è fondamentale – del resto Murdoch e’ stato amico di politici di tutti i colori, dai neocon americani al laburista Tony Blair. Tutto invano. Lo «squalo» è stato costretto a sgombrare il campo nel 2014 e da allora la situazione non ha fatto che peggiorare.