Niente può fermare i flussi migratori, perché le cause per cui le persone si spostano sono più forti di qualsiasi barriera: e non fa eccezione nemmeno una pandemia mondiale. Ad affermarlo è l’Oim, Organizzazione internazionale delle migrazioni, in occasione della Giornata internazionale delle migrazioni, che ricorre il 18 dicembre. Né il Covid19 né le restrizioni di viaggio hanno fermato «decine di migliaia di persone, che hanno continuato a lasciare le loro case e a intraprendere viaggi pericolosi».

LA PERICOLOSITÀ di queste rotte ricade sulla vita dei migranti: nel 2020, 3.174 persone sono morte in tutto il mondo. Un dato terribile che non comprende le vittime di quelli che l’Oim chiama «naufragi fantasma», ossia senza prove sufficienti: è il caso di quattordici naufragi segnalati nella rotta verso l’Europa. Secondo l’organizzazione internazionale avrebbero causato 600 decessi, non inclusi nei dati di quest’anno proprio per mancanza di informazioni precise.

Un quadro drammatico che ha il suo apice in Europa, dove si registra il numero più alto di morti: nel 2020 almeno 1.773 migranti hanno perso la vita nel viaggio verso il vecchio continente, o all’interno dei paesi che lo compongono. Un primato terribile che l’Europa detiene ormai dal 2014 -anno in cui l’Oim ha avviato il progetto Missing Migrants- e che dovrebbe imporre interrogativi urgenti sulle politiche migratorie implementate.

Guardando al dato globale, l’Oim segnala che, pur nella sua drammaticità, risulta inferiore rispetto al 2019, quando i decessi sono stati 5.327: ma i numeri non indicano necessariamente una riduzione delle vite perse. «Il Covid19 complica anche la nostra capacità di raccogliere dati e di monitorare rotte specifiche» ha evidenziato il direttore del Global Migration Data Analysis Centre dell’OIM Frank Laczko.

UN PROBLEMA presente in realtà da anni, e che di fatto porta da sempre a una fotografia sottostimata della situazione reale. Quello che non cambia è il trend in costante crescita del fenomeno migratorio: secondo il Word Migration Report 2020, nel 2019 sono stati 272 milioni i migranti in tutto il mondo, più di una persona ogni 30 abitanti, con un aumento di circa 14 milioni di persone ogni due anni.

Considerando il 2020, se in un’ottica globale i decessi sembrerebbero diminuiti, alcune rotte hanno sviluppato una dinamica in triste controtendenza, come specifica l’Oim in quello che sembra un vero e proprio bollettino di guerra. Tra queste vi è il tratto di mare verso le Isole Canarie della Spagna, dove hanno perso la vita 593 persone: un aumento esponenziale rispetto all’anno scorso (210 decessi) e a quello prima (45 decessi).

Anche il Sudamerica ha visto un aumento delle morti: 104 – la maggior parte migranti venezuelani – rispetto a meno di 40 in tutti gli anni precedenti. 381 donne, uomini e bambini hanno perso la vita sul confine tra Usa e Messico, mentre sono stati 245 i migranti morti nel Sudest asiatico, la maggior parte dei quali rifugiati Rohingya nella rotta tra Myanmar e Bangladesh verso Malesia, Thailandia e Indonesia. Altre 143 e 112 persone hanno perso la vita rispettivamente nei Caraibi e in Medio Oriente.

È UNA MAPPATURA dell’orrore quella restituita dall’Oim, che dovrebbe imporre un cambiamento delle politiche migratorie dei paesi di ingresso, in linea generale più inclini alla difesa dei propri confini che non dei diritti dei migranti: lo ha sottolineato Laczko sollecitando la creazione di possibilità «più sicure e legali per le migrazioni».

Una necessità che rischia di passare in secondo piano a causa dell’impatto della crisi legata al Covid19, avvertiva a novembre il direttore dell’Oim Antonio Vitorino: oggi, ricordando «il ruolo fondamentale svolto nelle nostre società dai migranti, in prima linea nell’occuparsi dei malati e nel lavorare per mantenere funzionanti i servizi essenziali», sottolinea la necessità di costruire società inclusive, anche guardando alle risposte al Covid19, alla distribuzione dei vaccini, all’accesso ai servizi sociali.