L’esecuzione a Mosca dell’oppositore Boris Nemtsov, obbliga ad una rivisitazione dell’opposizione oggi in Russia. Non c’è alcun paragone con gli anni ’60, quando i Tg nostrani e fanfaniani si distinguevano anche per i quotidiani aggiornamenti dall’Unione sovietica sui dissidenti Sinjavskij e Daniel denunciavano la «dittatura sovietica», anche se nella forma dello Stato russo di sovietico naturalmente rimaneva ben poco. Oggi, di fronte alla condanna recente di un ladro di miliardi di dollari, come è stato Aleksej Navalnyj, si è riparlato di «ritorno alla dittatura sovietica» ma l’Urss non c’è più e al potere c’è il nazionalista Putin erede di una Russia devastata socialmente dai «liberali» eltsiniani che nel ’93 presero a cannonate il nuovo parlamento.

Così, al posto degli intellettuali come Sinjavskij e Amalrik, nell’epoca del web c’è il blogger-imprenditore Aleksej Navalnyj. Se prima era Solgenitsin, a dire che «il cancro partiva da Lenin», negli anni 2000 furono i magnati Berezovskij, Gusinskij, Khodorkovskij, a chiarire che, dopo la parentesi democratica occidentale degli anni ’90, si tornava a opprimere il guadagno. Poco importa che si trattasse di lotte per assicurare ad alcuni, a danno di altri, la concentrazione economico-politica, tacendo che molte pseudo-indipendenti Ong erano quasi sempre finanziate da magnati e petrolieri.

E poi vennero Andrej Sakharov e sua moglie Elena Bonner. Sempre e comunque singoli: il dissenso, negli spot occidentali, esclude ogni forma di massa e contenuto di classe, puntando sugli aclassisti «diritti dell’uomo». Solo singole «forze sane» in lotta contro il totalitarismo o la corruzione. Peccato che quelle forze sane finiscano poi per cadere in appropriazioni di fondi e giochi monopolistici. Radio Svoboda ne è sempre stata l’altoparlante e non dava certo voce a chi parlava di «Pcus revisionista» o a chi, negli anni 2000, dava vita ai sindacati alternativi o al Fronte della Sinistra.

Che una quindicina di anni fa la Russia adottasse un codice del lavoro dettato dal Fmi, sparando sui collettivi operai, non faceva audience. Crollata la «dittatura sovietica», ora che solo un cronista fantasioso potrebbe scrivere di «Putin comunista», lo si incorona come «zar», visto anche il compiacimento del soggetto e la sua durata da 16 anni al potere. sancita l’uguaglianza comunismo-dittatura, la Russia appare un paese iperboreo che transita dall’autocrazia al totalitarismo e approda al dispotismo: contro lotta l’individuo liberale, portatore degli interessi comuni di una classe agiata e preoccupato dei propri affari personali, forte dei principi della democrazia senza classi, «atlantica» e «occidentale». Così si denunciano «le brutalità degli agenti putiniani», se le Femen offrono una performance nella cattedrale di Mosca, ma la stessa esibizione viene censurata come «inutile eccesso» se la scenografia si sposta in Vaticano. (…) Mentre merita solo la qualifica di “conservatore” chi protesta contro le privatizzazioni nei servizi sociali, mai arrestatesi dagli anni ’90.

Allora chi sono gli oppositori oggi in Russia? Mancano tutti di un riferimento ideologico che non sia l’interesse personale? Oppure gli onori delle cronache sono solo per gli oligarchi in lotta per spartirsi quanto apparteneva, formalmente, a «tutto il popolo»?

Archiviata come «vetero-ortodossia folkloristica» la parentesi di Nina Andreevna, in epoca gorbacëviana, i primi anni ’90 videro un fiorire di opposti raggruppamenti. A fronte di un’infinità di piccole formazioni che, accanto al PC di Ghennadij Zjuganov, si richiamavano all’esperienza sovietica o di qualche intellettuale marxista (ne è esempio Aleksandr Buzgalin: uno dei più giovani membri del CC del PCUS nel 1990; ora direttore di “Alternative”), presero corpo orientamenti nazionalistici (Zhirinovskij) o fascisti (Barkashov). Obiettivo dei primi era “ri-costruire” il socialismo. Gli slogan dei secondi erano “la Russia è dei russi”, “fuori gli ebrei e i caucasici”. Oggi, i liberal-democratici di Vladimir Zhirinovskij e il PC russo sono le uniche due formazioni di rilievo sorte dopo la fine dell’Urss a essere ancora in vita. Quanto a opposizione: se Zhirinovskij è ospite quotidiano dei talk show filogovernativi, il PC di Ghennadij Zjuganov condanna sì la politica liberale del premier Medvedev, ma, salvo pochi appunti, appoggia la politica di Vladimir Putin. Tanto che anche oggi, come negli anni ’90, non poche formazioni si pongono in alternativa alla linea di Zjuganov, pur con obiettivi non ben definiti. Cosa ha spinto, ad esempio, l’ex leader di Russia Lavoratrice (una delle più rumorose avanguardie degli anni ’90) Viktor Anpilov, nelle braccia della liberale “L’altra Russia” dell’ex premier Mikhail Kasjanov, sponsorizzata dall’ambasciata inglese? Quali forze rappresenta il deputato del PC Ilija Ponomarëv, (transfuga dalla neotrotskista Unione interregionale dei comunisti, ufficiosamente interna al PC russo; vi figurano nomi quali l’attivista sindacale Boris Kagarlinskij, accanto all’ex numero due del PCUS, il 95enne Egor Ligacëv) coordinatore del fondo “La Russia dopo Putin” a braccetto con l’ex magnate Mikhail Khodorkovskij? Cosa esprimono Ponomarëv e il suo compagno Aleksej Sakhnin (il primo emigrato negli USA, il secondo in Svezia), allorché si incolpano a vicenda di accusare di fascismo la junta ucraina?
E cosa ci fa l’ex leader del “liberalcomunista” Partito del Lavoro Oleg Shein, nel Coordinamento delle opposizioni, a braccetto della teleoppositrice Ksenija Sobchak (figlia di Anatoli Sobchak), compagna di opposizione di Aleksej Navalnyj? Quali forze mobilita l’opposizione liberale di Partito repubblicano, Solidarnost, Fronte civile, Libertà popolare, dei Navalnyj, Kasparov, Jashin, da cui si divisero in fretta, dopo un’iniziale adesione durante le proteste del 2012 di Piazza Bolotnaja, forze di sinistra come i nazional-bolscevichi di Eduard Limonov? Quali sono gli obiettivi del Partito repubblicano di Kasjanov e del defunto Nemtsov, che, insieme a “Jabloko” di Grigorij Javlinskij (uno dei padri delle privatizzazioni eltsiniane) fa parte della “Alleanza di liberali e democratici per l’Europa”, che nel novembre scorso si esprimeva “per le sanzioni e per l’Europa”?
Se non ha avuto rilievo la notizia della comunista (ha migrato dal PC di Zjuganov al Fronte di sinistra, al “Fronterosso”) Darja Poljudova, arrestata con l’accusa di fomentare il separatismo nel Kuban, sembra che i media occidentali qualifichino oggi di dissidenza, nella Russia di Putin, solo l’opposizione liberale e altra non ne esista. Secondo un’indagine condotta mesi fa dal Centro Levada per conto del PC, la percentuale di persone che pensano esista un’opposizione in Russia sarebbe scesa dal 66% di due anni fa all’attuale 50%. Se nel 2012 il 72% vedeva l’opposizione quale elemento sociale necessario, oggi la percentuale è del 57% e l’opposizione del tipo Navalnyj “viene interpretata come distruttiva, portatrice di instabilità”.