C’erano i ministri del Movimento 5 Stelle, l’altro giorno, affacciati al balcone di Palazzo Chigi per annunciare la «manovra del popolo». Erano acclamati da una piccola folla composta per la grande parte da parlamentari grillini e collaboratori dei gruppi alla camera e al senato. È l’immagine che rimane del varo della nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza, che rappresenta un passaggio importante, destinato a cambiare il segno della legislatura.

Gli eletti che si stringono attorno a Luigi Di Maio e alla sua squadra hanno un duplice significato. Innanzitutto, mettono a tacere le flebili voci e i dubbi che cominciavano a serpeggiare tra i 5S sull’alleanza con la Lega. «Ci atterremo al contratto di governo», era la formula usata per mascherare come una fredda soluzione tecnica l’imbarazzo di aver abbracciato Matteo Salvini. Adesso però la sfida ai vincoli di bilancio cementa l’alleanza. Lo sapeva il leader leghista, che ha scelto con determinazione di forzare la mano al ministro Tria smentendo anche il parere di alcuni dei suoi e che tiene un piede nel centrodestra ma da oggi ha una sponda più forte nel M5S.

«IL LEADER LEGHISTA POTEVA tenersi l’agenda a costo zero, fatta di emergenze sicurezza e condoni fiscali, ma ha voluto assecondare il M5S per rinsaldare il governo e far passare in secondo piano i dissidi», dicono con riconoscenza gli uomini più vicini al capo politico grillino. La sintonia durerà almeno fino alle elezioni europee, che a questo punto i gialloverdi si giocheranno tutte sul filo della tensione con Bruxelles. È la strada che Di Maio aveva tracciato qualche settimana fa, promettendo che «dopo il voto di primavera cambierà tutto». Ed è una strada che, anche se a livello continentale non passerebbe per un’alleanza organica con i sovranisti, restituirebbe un senso alle voci mai smentite dal M5S sull’incontro tra Di Maio e Steve Bannon di sabato scorso.

ECCO IL SECONDO EFFETTO, anch’esso rappresentato dall’immagine della festa sotto il balcone del governo. Mai come in questi giorni la maggioranza con la Lega assume un significato politico coerente, trova una sintesi e, condizione fondamentale e basica per ogni aggregato strategico, riconosce nei «burocrati di Bruxelles» un nemico comune contro il quale battersi e mettere da parte le differenze. «Finalmente c’è un governo che mette la giustizia sociale al centro delle proprie politiche e che scommette con coraggio sul rilancio dell’economia» dicono ad esempio i parlamentari europei del M5S, gli stessi che solo pochi giorni fa avevano votato contro l’Ungheria di Orbán, salutando la vittoria della linea di Di Maio. Anche se c’è qualcuno, è il caso del viceministro dell’università Lorenzo Fioramonti, che smorza i toni e auspica di trovare un ambiente favorevole in Europa. «Mi sembra che in questo momento ci siano tutte le condizioni, viste le posizioni degli altri paesi, perché l’Ue si renda conto che c’è davvero bisogno di fare quegli investimenti che per troppi anni non sono stati concessi», dice Fioramonti.

DOMINA PERÒ, e questo è il tratto che accomuna come non mai grillini e leghisti, la retorica della sovranità perduta e della dignità nazionale recuperata: «L’Italia finalmente è rispettata», non smettono di dire i gialloverdi con parole che si erano sentite anche in occasione delle crisi sui migranti. «Gli investimenti contenuti nella manovra e le politiche economiche espansive ci consentiranno di ricostruire una vera politica industriale, che in Italia manca da decenni, e di rilanciare il nostro paese a livello internazionale», concludono in un comunicato i deputati M5S della commissione lavoro. «Stamattina ci siamo svegliati in una nuova Italia» esultano i consiglieri comunali del M5S romano, che solo qualche giorno fa aveva visto con sospetto la discesa in campo dei leghisti contro Virginia Raggi, in vista delle prossime amministrative. Restano insomma le divisioni e la concorrenza sui territori, ma quel blocco sociale comune che ha assunto lo stile comunicativo e linguaggi molto simili che in queste settimane si sono incontrati sui social network per mettere a tacere i pochi dissidenti, trova un terreno più fecondo.