L’unità delle opposizioni si sgretola come un biscotto sullo scoglio della guerra. Il cambio di clima è tanto repentino quando drastico e totale: da una lettera a Mattarella firmata da tutti i gruppi che si oppongono alla riforma, che a mezzogiorno pareva cosa fatta, alla stessa missiva corredata però solo dalla firma del capogruppo azzurro Paolo Romani. In mezzo c’è un voto, l’unico sul quale il governo e la maggioranza rischiavano sconfitta. Quale maggioranza parlamentare è necessaria per dichiarare guerra: quella assoluta degli aventi diritto oppure, come d’abitudine, quella dei presenti in aula? Il testo supporta la prima ipotesi, l’emendamento della senatrice Dirindin, minoranza Pd, la seconda. Quattordici senatori del Pd appoggiano l’emendamento, altri 15 non votano. Però arriva in soccorso il gruppo azzurro e passa la paura. Per un po’ sembra che Arcore abbia salvato il governo, poi l’ufficio stampa del Pd dirama una nota che chiarisce: l’emendamento sarebbe stato battuto lo stesso, per 8 voti.

Non basta a riportare la pace nel fronte non più unito delle opposizioni. L’M5S e la Lega si imbufaliscono, il miraggio di una posizione comune si dissolve, le firme in calce alla lettera indirizzata al primo cittadino per denunciare il comportamento poco imparziale del secondo vengono cancellate una dopo l’altra. «Hanno resuscitato il Nazareno in versione ter sono una stampella come i verdiniani», tuona il capogruppo a 5 stelle Castaldi. Romani risponde a tutti sullo stesso tono: «Chi insulta così forse non merita un posto in Parlamento». Il tam tam si fa assordante: «Silvio ha salvato il socio», «Il Nazareno è vivo». La lega è la più dura nella denuncia ma i dubbi, che spesso somigliano a certezze, serpeggiano ovunque. Probabilmente però sono infondati. Anna Maria Bernini, vicepresidente azzurra ma assente al momento del voto, appena messa al corrente del fattaccio lo spiega in tutt’altro modo ed è facile che abbia ragione: «Non c’ero quando si è votato ma secondo me non c’è stata nessuna strategia. Il gruppo ha visto quell’emendamento come troppo ’pacifista’ e ha reagito di conseguenza, quasi per riflesso condizionato».

Augusto Minzolini, il falco per eccellenza, invece al momento del voto c’era, ed è anzi uno dei principali accusati, in particolare dal Carroccio, perché anche lui, con la sua astensione, ha dato una mano al governo. Respinge ogni addebito e dà ragione alla vicepresidente del suo gruppo: «Io ieri mi ero schierato per l’intervento in Siria e Iraq, e come faccio poi ad appoggiare un emendamento che riflette una posizione del tutto dignitosa, però opposta? Se ci fosse stata la certezza di mandare sotto il governo, forse i ragionamenti nel gruppo sarebbero stati diversi, ma così rischiavamo di finire cornuti e mazziati. Incoerenti e anche battuti». Maurizio Gasparri è uno di quelli in cui il riflesso modello «Dottor Stranamore» a cui alludeva la Bernini non lo metterebbe in dubbio nemmeno il peggior nemico. Infatti conferma: «L’emendamento era sbagliato e in un caso del genere i nostri voti sono in campo a prescindere».

Probabilmente dicono la verità e il disastro di ieri lo si può tutt’al più imputare al ritardo con cui le opposizioni hanno cercato una posizione comune. Altrettanto sicuramente, al momento del voto finale, Fi cercherà, come gli altri, di delegittimare quanto più possibile la riforma abbandonando l’aula. Ma di certo per Matteo Renzi quel voto azzurro è stata la classica manna dal cielo. Col pallottoliere forse ne avrebbe potuto anche fare a meno. Politicamente è una vincita secca.