Ora che i giochi con la Brexit sono fatti, in Scozia ricomincia il dibattito politico interno e ci si prepara alle elezioni di maggio 2021. Il tema centrale riamane l’indipendenza da Londra. A essere favorito è lo Scottish National Party, il partito indipendentista attualmente al governo, per cui l’elettorato di sinistra vota ormai in larga parte. Il partito che tradizionalmente ne raccoglieva i consensi, il Labour Party scozzese, è passato dal rappresentare un cittadino su tre a veder dimezzati i suoi voti nelle elezioni del 2016, pagando la sua opposizione all’indipendenza. L’ex leader laburista Alex Rowley riconosce gli errori del passato e disegna nuove strategie per il Labour e la Scozia di domani.

Nel referendum del 2014 gli scozzesi hanno rifiutato l’indipendenza, come sia voi che i conservatori auspicavate. Qual è la vostra posizione oggi che il consenso all’indipendenza cresce e un secondo referendum potrebbe essere indetto a breve?

Il Labour è sempre stato e rimane ancora oggi per la devolution, e cioè la decentralizzazione del potere legislativo e amministrativo da Londra a Edimburgo. Siamo stati noi a ottenere la creazione del parlamento scozzese nel 1999 e a stimolare la creazione di un sistema sanitario autonomo, che ad oggi funziona meglio di quello inglese pur rimanendovi in parte legato. Questa rimane la nostra posizione. Credo però che nel 2014 sbagliammo nel sostenere che la Scozia non ce l’avrebbe fatta da sola. Ci allineammo ai conservatori nel dire una sciocchezza. Certo che la Scozia ce la fa. Lo dimostra per esempio la miglior gestione della pandemia da parte della Scozia, di cui diamo atto al governo. Oggi chiediamo con più forza e chiarezza di proseguire sulla strada della devolution in opposizione alle tendenze centralizzatrici del governo Johnson. Il Partito Nazionale Scozzese (Snp) chiede invece l’indipendenza. Capisco la necessità di ottenere il massimo del potere decisionale su come costruire la Scozia del futuro dopo la Brexit e il Covid-19. Ma la nostra è una proposta molto più progressista e radicale, e anche più concreta e conveniente.

Perché?

L’Snp intende lasciare il Regno Unito e poi richiedere di aderire all’Ue. Questo genera una miriade di complicazioni. Per dirne una, come la mettiamo con il confine fra Scozia e Inghilterra? E con la valuta? Al di là dei buoni propositi, la Scozia rimarrebbe isolata. Per noi laburisti, rimanere parte di un Regno Unito riformato in senso federale significa invece essere parte integrante di una comunità di 68 milioni di persone e condividerne le risorse. Solo così potremmo garantire la stabilità del sistema pensionistico e del mercato interno, per esempio. Quella della devolution è una strada decisamente migliore, tanto più che possiamo percorrerla fianco a fianco con Galles e Irlanda del Nord.

L’indipendentismo scozzese è spesso guardato con simpatia dalla sinistra europea. In Europa, il nazionalismo si lega spesso alla destra, se non proprio all’estrema destra e ideologie xenofobe. L’indipendentismo scozzese, ma con l’attuale governo dell’Snp guidato da Nicola Sturgeon, finisce così per rappresentare un modello alternativo. O forse ci siamo persi qualcosa?

L’Snp ama presentarsi come un partito progressista, se non di sinistra, ma viene poi smentito alla prova dei fatti. Da quando sono al governo, non abbiamo visto alcuna politica economica di questo tipo, nessuna ridistribuzione del reddito. Tutto ciò che fanno è prendersela con i presunti colpevoli di queste e altre loro manchevolezze, quasi sempre il governo di Londra. Ci sono certamente persone che condividono le nostre idee nell’Snp e con cui saremmo felici di dialogare in un eventuale scenario post-indipendenza, ma ad oggi la leadership pende verso destra. Ciò deve spingerci a marcare più nettamente le differenze politiche con l’Snp. Il crescente nazionalismo ha offuscato la carica progressista del Labour scozzese, che rimane allineato alla radicale proposta politica di Jeremy Corbyn. Non di rado noi laburisti scozzesi siamo stati considerati fin ‘troppo di sinistra’, come quando a guidare il Regno Unito era il laburista moderato Gordon Brown.

La vostra posizione sembra ricalcare la forte tradizione di sinistra scozzese. Ma allora come ha fatto l’Snp a fagocitare la vostra base elettorale?

La risposta è complessa e frutto di un processo lungo. La maggioranza dei miei compagni di strada di una volta, nel Labour così come nel sindacato, sono ora dalla parte degli indipendentisti. Dispiace che la mania indipendentista porti molti a rifiutare acriticamente il Regno Unito e quindi ad allontanarsi da noi laburisti, quando siamo stati proprio noi, con Corbyn, a offrire quella che ci pare la miglior proposta politica per la Scozia. Sono in tanti – e penso soprattutto al Partito Socialista Scozzese – a sostenere che solo rendendoci indipendenti potremmo attuare politiche socioeconomiche veramente di sinistra, ma per noi questo è semplicemente falso.

E per quanto riguarda la Brexit, dove si colloca il Labour?

A livello nazionale, credo che l’errore di Corbyn e di tutti noi laburisti, il vero motivo dei nostri cattivi risultati recenti, sia stata la posizione sulla Brexit. Tanto ai tempi del referendum quanto nella fase delle trattattive. La questione Brexit ha rappresentato un dilemma per la sinistra britannica, risultando in risposte poco chiare da parte nostra. Io credo che la Scozia e il Regno Unito debbano rimanere parte integrante dell’Europa. Da Margaret Thatcher a oggi, i liberal-conservatori hanno fatto danni enormi al nostro sistema industriale. Per porvi rimedio dobbiamo cogliere i benefici dell’essere parte dell’Ue.

La Brexit è stata uno spartiacque anche per la nostra base elettorale, che ha in buona parte optato per il leave. Penso ad esempio alla working class dell’Inghilterra del Nord, tradizionalmente dalla nostra parte, che è da anni in una situazione di disagio diffuso. L’idea che ciò che non funziona in questo paese sia tutta colpa degli immigrati europei ha trovato terreno fertile in questo disagio. Persino qui in Scozia c’è stata una campagna porta a porta volta a convincere le persone che fossero gli immigrati dal resto d’Europa la causa degli enormi problemi che abbiamo nel settore immobiliare o in quello dei servizi, problemi che essi avvertono ogni giorno sulla propria pelle. Tutto questo è folle, ma questa è la realtà e il Labour avrebbe dovuto fare di più.

E ora?

Dobbiamo rimboccarci le maniche ma accettare l’idea che la Brexit ha avuto luogo. E non è detto che la situazione non possa persino peggiorare. È ora che si decideranno veramente gli scenari futuri. È una fortuna che Trump sia fuori dai giochi: il nostro governo avrebbe probabilmente stretto con gli Usa un pessimo accordo. Questo ci avrebbe reso nient’altro che il cinquantunesimo stato americano, sottoposti ancor più al giogo delle multinazionali. Ma i rischi sono ancora alti e il compito del Labour a livello nazionale è di battersi perché niente di ciò accada.

E a livello scozzese?

La Brexit genera grandi problemi per la Scozia. Negli ultimi giorni si è parlato molto delle zone di pesca, per dirne una. È un problema che riguarda la pesca scozzese in particolare, e i conservatori hanno fatto mostra di difendere questo settore e quindi la Scozia. Ma la questione è posta male ed è persino più fosca di così: puoi avere accesso a tutte le acque che vuoi e pescare quindi più pesce, ma poi questo pesce a chi lo vendi se sei tagliato fuori dal mercato europeo? Le immagini dei giorni scorsi dei camion alla frontiera parlano chiaro. Ma le implicazioni della Brexit per la Scozia sono tante e il Labour è convinto che debbano essere gli scozzesi a decidere come affrontarle. C’è ancora tanto da lavorare sulla povertà e sulle disuguaglianze. Dobbiamo affrontare la grande crisi del settore immobiliare che stiamo vivendo, così come quella del mercato del lavoro post-Covid.