A giugno scade la cassa integrazione per quasi mille operai, oltre c’è il baratro. Del progetto industriale Smart city group da 200 milioni di euro si sono perse le tracce. Il silenzio dei commissari di Blutec spaventa. Mentre dal Mise non arrivano segnali, nonostante le reiterate richieste d’incontro fatte da Fim Fiom e Uilm. Agli operai ex Fiat di Termini Imerese così non è rimasto altro che tornare in piazza: prima con un presidio davanti ai cancelli della fabbrica, poi con blocchi stradali di fronte alla Presidenza della Regione siciliana, dove alcuni operai due giorni fa si sono incatenati per protesta.

IL COMITATO DEI SINDACI del comprensorio termitano ha convocato una riunione per lunedì prossimo minacciando azione di lotta a fianco dei lavoratori, oggi è previsto un faccia a faccia tra il governo della Regione e Giuseppe Glorioso, uno dei tre commissari di Blutec. Gli operai hanno fretta di capire cosa sia rimasto del progetto del Consorzio Sud e delle 18 aziende che sarebbero state disponibili a investire 50 milioni di tasca propria nello stabilimento per creare un polo tecnologico green per poi intercettare i fondi del contratto di programma quadro.

QUEL PIANO FU considerato valido l’anno scorso dai commissari di Blutec, ma l’ultima apparizione di Giancarlo Longhi e Stefano Rolando, presidente e vice di Smart city group, risale a sei mesi fa. Più fonti istituzionali vicine al dossier, interpellate dal manifesto, spiegano che quel progetto avrebbe tempi lunghi per una serie di problemi legati ad autorizzazioni ambientali su progetti per la realizzazione di impianti di trattamento dei rifiuti. Ma soprattutto rivelano che da qualche mese sono in corso interlocuzioni con altri soggetti privati, al momento informali.

UN NOTO IMPRENDITORE siciliano avrebbe riferito al governo della Regione l’interesse da parte di alcune aziende a investire nell’area dello stabilimento, ma a condizione che le istituzioni risolvano quello che viene considerato un «ostacolo»: gli operai. Perché se è vero che a fine anno il nuovo porto commerciale di Termini Imerese sarà nella piena operativa e che l’area rientra tra le Zes (zone economiche speciali) è altrettanto vero che nessuna azienda vuole farsi carico dei 635 operai Blutec, il cui destino, comunque rimane legato a stretto filo con quello della fabbrica. Ecco allora che l’altra ipotesi che circola con insistenza a Termini Imerese viene considerata più percorribile. E porta a un colosso: Amazon. Il gruppo di Seattle, con una sede nella Sicilia orientale, sta cercando un’area nella parte occidentale dell’isola per realizzare il suo hub commerciale.

ALCUNI EMISSARI del gruppo avrebbero preso contatti con Invitalia e ci sarebbero stati dei colloqui; non è chiaro se l’area presa in considerazione sia proprio quella dove si trova lo stabilimento (tre capannoni), sicuramente per caratteristiche rientra nel profilo identificato dall’azienda americana, che cerca una zona collegata a un porto e alla rete autostradale per agevolare le operazioni di trasporto delle merci.
Certo è che in questa vertenza finora quello che è stato messo in campo si è rivelato un flop, compresa l’istituzione di Termini Imerese come area di crisi complessa: perché se è vero che questo è servito per garantire gli ammortizzatori agli operai dell’indotto è altrettanto vero che non è servita ad agevolare alcuna soluzione di tipo industriale.

LA VERTENZA VA AVANTI DA 10 anni, ha attraversato sette governi di vari colori, un pezzo di storia del Paese: dal Berlusconi quater all’esecutivo dei professori guidato da Mario Monti, da Gianni Letta a Matteo Renzi, da Paolo Gentiloni ai due governi Conte, ora tocca a Draghi. Dieci i ministri per lo Sviluppo economico che durante il loro mandato si sono ritrovati sul tavolo il «dossier Termini Imerese»: da Claudio Scajola a Corrado Passera, da Flavio Zanonato a Federica Guidi, da Carlo Calenda a Luigi Di Maio e Stefano Patuanelli. Nessuno però è riuscito a fare ripartire lo stabilimento che la Fiat decise di chiudere nel dicembre del 2009 e che abbandonò due anni dopo.

DA ALLORA LE TANTE ipotesi di rilancio si sono dissolte tra scandali e inchieste giudiziarie che hanno coinvolto alcuni dei gruppi che in questi anni si sono fatti avanti, ultimo la Blutec i cui vertici sono indagati dalla Procura di Torino per malversazione ai danni dello Stato con l’accusa di avere distratto 16 milioni di finanziamenti pubblici erogati attraverso Invitalia.