Benvenuti nella città della grande bruttezza, dove la corruzione è antica come la suburra, dove la coca e le escort viaggiano da una sponda all’altra del Tevere, dal Palazzo al Cuppolone e ritorno. Dove sesso e armi sono le scorciatoie più dirette per agguantare la sola cosa che conti, i soldi. Dove l’usura scorrazza e tutto ha il suo prezzo. Non è la Roma della Banda della Magliana. È una metropoli piagata in cui tutto si è rimpicciolito e immiserito: la politica, la religione, l’economia, ma anche il crimine, la prostituzione d’alto bordo, i traffici segreti e inconfessabili.
Suburra, del giornalista di prima linea Carlo Bonini e del magistrato scrittore Giancarlo De Cataldo (Stile libero Einaudi, 2013, pp. 488, euro 19.50), sembra ma non è il seguito del fortunatissimo Romanzo criminale, best seller e cult-book dello stesso De Cataldo. Ne è casomai il rovescio, la proiezione rifratta e messa a nudo, spogliata di ogni mitologia romantica o anche solo dannata, in un futuro devastato.
Sono i soldi a fare la differenza, i soldi e i sogni. I cattivi ragazzi di Romanzo Criminale, come tutti i personaggi di quel libro e forse di quell’epoca (ma conviene ricordare che, pur se modellati sui veri banditi della Magliana, erano personaggi, appunto, di un romanzo), inseguivano orizzonti che superavano di parecchie spanne la quantità di liquido in banca e di coca nelle narici.
Li muoveva un’ansia selvaggia di riscatto e rivincita, la rabbia che spinge i ragazzi di strada a farsi largo con ogni mezzo in un mondo in cui i posti al sole sono già tutti occupati.

Fatti e fattacci

Finivano male perché una volta realizzato quel sogno non potevano fare altro che sbranarsi l’uno con l’altro e distruggersi. E come loro anche tutti gli altri personaggi, i fascisti animati da una cupa utopia, i tramoni dei servizi segreti pronti sì a ogni nefandezza, ma in nome di una guerra non dichiarata tra opposte visioni del mondo. I quattrini non erano tutto per nessuno di loro. È per questo che, nonostante gli orrori e i tradimenti e la ferocia gratuita, intorno al Libanese, al Freddo, al Dandi e a tutti gli altri aleggia l’aura di leggenda metropolitana che ne ha decretato l’immenso successo.
Nella Capitale di Suburra non c’è spazio per i sogni, e neppure per le leggende. Roma se la sono presa i cravattari, immondi e onnipotenti. I capi delle bande che si dividono il potere nella Roma sotterranea in testa non hanno altro che mucchi sempre più alti di denaro. I loro soldati, reclutati nelle strade della disperazione, sono brutali e feroci ancora più dei loro padri, ma più per ottusità bestiale che per altro. Il solo erede dei vecchi tempi, un ex fascista battezzato al crimine dal Dandi in persona ai vecchi tempi, il Samurai, è una fredda macchina di morte e potere e affari che palpita solo nei ricordi del passato.
L’azione si svolge nel 2011, quello che sembrava (e solo in una certa misura effettivamente era) l’ultimo anno della lunga era berlusconiana. La trama ricalca fatti e fattacci di quegli anni: le ammazzatine misteriose tra Ostia e le periferie di Roma, gli appetiti insaziabili dei nuovi palazzinari con le braccia immerse fino ai gomiti nella greppia berlusconiana, la connivenza dei politici in vendita a prezzi di sconto, piste bianche e un po’ di pelo. Ma anche il montare di una indignazione diffusa e di una ostilità sorda nei confronti della spazzatura politica che pareva allora ben più promettente di quel che si è poi rivelata e si sta ancora rivelando.
Quegli episodi di sangue, a tutt’oggi oscuri, il romanzo a quattro mani non li adopera solo per montarci il plot. Li interpreta, li contestualizza, li ricolloca in una cornice sensata, azzarda ipotesi investigative. Questo, forse, è l’apporto più significativo di Bonini, talentuoso cronista abituato per professione a scoprire cosa si agita dietro le quinte e a volte nelle fogne. Suburra è anche una grande inchiesta in forma di romanzo sui segreti di Roma: una cartografia dell’illegalità, una perlustrazione nelle sempre più evanescenti zone di confine e osmosi tra la Capitale dei poteri criminali e quella del potere propriamente detto.
La vicenda, nonostante la miriade di personaggi (molti sin troppo facilmente riconoscibili) è in fondo relativamente semplice. Nell’età dell’ennesimo sacco di Roma, la trasformazione di Ostia nella Atlantic City italiana offre un’occasione che nemmeno ai tempi del sacco di Palermo.
All’affarone partecipano tutti: le batterie di Roma, la Camorra e la ’ndrangheta, i politici che tra una sniffata e un’orgia devono aprire le porte alla colata di cemento, i prelati che ci troveranno un ricco tornaconto e poi l’esercito di galoppini, giornalisti d’accatto, escort di serie b, magistrati e poliziotti corrotti, killer che ammazzano con burocratica crudeltà, capibastone che già si sentono i nuovi Libanese e Dandi. E su tutti, come amministratore delegato di questa holding malavitosa, il Samurai.

Berlusconi ai raggi x

Perché tutto fili liscio bisogna che le batterie mettano da parte le rivalità e non si massacrino a vicenda. Invece, l’incidente di percorso inevitabilmente capita. La mattanza esplode e si intreccia con l’inesorabile declino del festino berlusconiano, un tramonto a cui non è affatto detto che seguirà una radiosa alba e non, piuttosto, una nuova giornata identica a quella precedente. Forse peggiore.
Almeno da questo punto di vista, infatti, tra Romanzo criminale e Suburra la continuità è stringente. De Cataldo (qui con Bonini) adopera la radiografia dell’underworld per raccontare anche quello che si muove in superficie. La meteora della Magliana descriveva la spinta dal basso degli anni ’70 e la sua degenerazione nell’età del craxismo. Il putrido banchetto del nuovo secolo fa il punto sulla degenerazione dell’intero Paese dopo vent’anni di berlusconismo e a guerra fredda conclusa.
Il finale del libro resta aperto. Quello che non si è potuto fare oggi, lo si potrà forse fare domani. In un quadro tutto diverso, e assolutamente identico: tanto nel Palazzo quanto nelle strade violente della città eterna.