Altro che «lasciare posare la polvere», come aveva chiesto il ’dialogante’ Roberto Speranza offrendo un disarmo unilaterale della minoranza Pd per trovare un accordo in extremis sull’Italicum. Dalla maggioranza fin qui nessun segnale diplomatico. Dalla minoranza invece parte un nuovo attacco di Bersani. Ieri l’ex segretario in uno sfogo su Repubblica accusa Renzi di voler «abolire la rappresentanza» a favore di «un presidenzialismo di fatto, una democrazia plebiscitaria». E sul Pd evoca il rischio della scissione: «Vediamo se si fa carico del problema. Noi abbiamo detto: concordiamo alcune modifiche e poi votiamo l’Italicum tutti insieme sia alla Camera sia al Senato. E lui che dice? Non mi fido», «ma se non ti fidi del tuo partito, è la fine». È la prima volta che l’ex segretario parla così esplicitamente del rischio di scissione, sia pure per scaricarlo sulle spalle di Renzi. Bersani è passato in pochissimi giorni dalla granitica «lealtà alla ditta» al voto secondo coscienza sull’Italicum. E questo dopo aver tirato su generazioni di giovani dirigenti sul principio della disciplina di partito.

Il presidente Matteo Orfini, che oggi sta con Renzi ma che all’epoca era nella segreteria di Bersani, risponde con lo stesso calibro: «Immaginare che si possa spaccare il Pd su una richiesta di modifiche marginali all’Italicum, dopo che anche su sollecitazione di Bersani è stato completamente riscritto, lo trovo incredibile e incomprensibile. Non vorrei che per ragioni strumentali si creasse tensione nel Pd». Lo spettro della scissione, seppellito sotto tonnellate di dinieghi, rassicurazioni e giuramenti, torna in auge. E stavolta per iniziativa del ’padre’ politico della minoranza.

Dai renziani parte il fuoco di fila, un attacco concentrico, che fa pensare a una regia dall’alto. Roberto Giachetti accusa l’ex leader di «avere le idee confuse» e di rilanciare oggi il Mattarellum contro Renzi quando non lo aveva voluto votare a suo tempo, e cioè nel maggio 2013, quando lui – Giachetti – lo aveva proposto. Erano i tempi delle larghe intese di Letta, il Pdl temeva che il Pd cercasse una maggioranza alternativa. La mozione era una mina per il governo ed infatti era stata firmata anche dai renzianissimi Bonafé, Boschi, Faraone, Lotti e Nardella. Alla fine la votarono sì i 5 stelle, Sel e del Pd solo Giachetti. «Ci avete obbligato al no», ringhia oggi il vicepresidente della Camera. Controreplica Alfredo D’Attorre: «La sua fu una mozione farsa per metter in difficoltà il governo Letta, lo sanno anche i bambini». Ma Bersani resta per tutto il giorno nel mirino dell’artiglieria renziana: «Cambi disco» (Dario Parrini), «Il risentimento è sempre un cattivo maestro» (Andrea Marcucci). «Ha torto» persino per il mite Fabrizio Barca, che fin qui era vicino a Civati. Attacca anche il franceschiniano Antonello Giacomelli: «Bersani parla di ’legge truffa’. Fa impressione, nel 2015, risentire gli slogan dei comunisti anni 50. E fa pensare». Giacomelli è un ex dc e quindi, se ne avesse avuto l’età, nel caso la legge truffa l’avrebbe votata.

La difesa di Bersani è sproporzionata. Le sue parole hanno messo di malumore anche molti dei suoi, quei tanti (un’ottantina) non disposti a seguirlo sul non voto dell’Italicum. Non Fassina, che pure a Bersani negli scorsi giorni aveva chiesto un passo indietro: «Invece di attacchi scomposti e nervosi a Bersani, cerchiamo di preparare, dopo l’inutile direzione di lunedì scorso, una discussione seria per il gruppo parlamentare la prossima settimana». Lo difendono anche i suoi più ’dialoganti’. «Ho la netta sensazione che il Pd non sia più una comunità politica ma un tutti contro tutti», dice Francesco Boccia, «basta con bullismo politico. Se finisce lo spirito di comunità, finisce il Pd». E il cautissimo capogruppo Speranza: «Vedo molta, troppa ingenerosità nei confronti di Bersani».

Nel Pd ormai siamo all’ora della verità, tanto che ormai a nessuno importa come andranno le sedute della commissione, in cui la minoranza Pd è nettamente in forze. «La vera partita sarà in aula», prevede D’Attorre. Ora bocce ferme per le feste. Il 14 o il 15 aprile la parola passerà all’assemblea dei deputati. Per quei giorni la «polvere» si sarà depositata. Ma difficile che questo cambi qualcosa.