Depuratori mal funzionanti, acque reflue sversate in mare, fanghi inquinanti accumulati senza criterio, né tutele. Nel totale disinteresse degli amministratori comunali. È un quadro desolante, ma non inatteso, quello che emerge dall’inchiesta «Mala depurazione» della procura di Reggio Calabria. Sotto sequestro 14 depuratori da oggi affidati a un commissario del dipartimento Ambiente della regione Calabria.

«Ciò che dispiace è che debba essere la procura a intervenire perché qualcuno non ha fatto il proprio dovere e qualcun altro non ha controllato. Molti di questi impianti sono già stati sequestrati in passato, c’erano state precise prescrizioni per la messa in regola ma non è stato fatto nulla», ha commentato il procuratore aggiunto Gerardo Dominijanni. In quasi tutti gli impianti sono stati riscontrati malfunzionamenti, compressori, misuratori di portata ed elettropompe mancanti o mai sostituiti, by-pass non autorizzati e innumerevoli sono stati i casi accertati di smaltimento illecito dei fanghi e dei residui – il cosiddetto «vaglio di grigliatura» – prodotti dagli impianti.

Risultato: scarichi sversati in parte o del tutto a mare, qualità delle acque pregiudicata, in alcuni casi – è emerso nei mesi scorsi dalle indagini Arpacal – fino alla non balneabilità. Al momento devono risponderne 53 indagati fra amministratori, funzionari e tecnici comunali e dirigenti delle società che hanno gestito gli impianti, accusati a vario titolo di inadempimento di contratti di pubbliche forniture, omissioni d’atti d’ufficio, disastro ambientale, getto pericoloso di cose, attività di gestione non autorizzata di rifiuti con smaltimento illecito degli stessi.

Il pezzo grosso fra gli indagati è l’attuale sindaco di Reggio, Peppe Falcomatà (Pd), insieme ai suoi predecessori, Giuseppe Raffa e Demetrio Arena, più i prefetti della terna commissariale che ha amministrato la città dopo lo scioglimento per infiltrazioni mafiose nell’era Scopelliti, Vincenzo Panico, Gaetano Chiusolo, Vincenzo Castaldo, Dante Piazza e Carmelo La Paglia. Al vaglio degli inquirenti è anche la posizione dell’intero board di Acquereggine, la società cui era stata demandata la manutenzione degli impianti. Un’inchiesta complessa, costruita sopralluogo dopo sopralluogo dagli uomini della Capitaneria di Porto, affiancati da consulenti esperti nominati dalla procura. Indagini che a detta dei magistrati «hanno permesso di individuare una serie variegata, reiterata e protratta nel tempo, di illiceità penali» che «hanno prodotto e stanno producendo tuttora pesanti impatti inquinanti e di deterioramento, con sostanziale compromissione dell’ambiente».

Tuttavia non si tratta di un fulmine a ciel sereno. Negli scorsi anni Legambiente Calabria aveva presentato i dossier «La depurazione in Calabria: un contributo per affrontare il problema dello smaltimento dei fanghi». Gli allarmanti dati Arpacal dell’anno 2017 avevano già posto in luce, solo in provincia di Catanzaro, il malfunzionamento di ben 17 impianti di depurazione su 22. Sin dal 2015 Legambiente Calabria aveva suggerito che la comunicazione della quantità di fanghi, di acqua trattata e della modalità di smaltimento degli stessi dovesse essere una delle condizioni essenziali per ottenere i finanziamenti per migliorare la depurazione. L’associazione ambientalista aveva anche proposto, per tempo, che lo smaltimento dei fanghi fosse gestito direttamente dagli enti locali per controllare l’efficienza della depurazione. Tutto inutile e nessun controllo. E quel che non ha fatto la regione in questi anni, lo ha fatto ora la Guardia costiera.