Lo spunto è semplice, di una semplicità letteraria o da canzonetta, poco importa: due si incontrano in un locale, vanno a letto insieme, al mattino dopo superano con leggerezza l’imbarazzo della colazione e visto che è festa passano del tempo insieme e finiscono per innamorarsi un po’. Ma uno è lì di passaggio, dunque rapporto «a tempo» come un ordigno esplosivo… Weekend è il film «prima» di 45 anni di Andrew Haigh (che nel frattempo sta preparando un nuovo film sullo stilista inglese Alexander McQueen) in cui il regista mette alla prova la sua capacità di restituire il filo teso delle relazioni con un movimento fluido, sensibile, affidato alle temperature emozionali prima che alle parole.

 

 

Weekend lo ha girato diversi anni fa, presentato a molti festival dove ha vinto molti premi ma da noi arriva solo ora (è da domani in sala) grazie alla distribuzione di Teodora. «Volevo esplorare quel sentimento misto di paura e eccitazione che si prova insieme alla possibilità di qualcosa di nuovo. Volevo vedere i due personaggi innamorarsi lentamente l’uno dell’altro, delle loro reciproche differenze, quasi come se stessero scoprendo dei pezzi mancanti di loro stessi. Volevo catturare quei momenti che due persone condividono quando iniziano davvero a impegnarsi in una relazione» ha detto il regista sul film. E il suo obiettivo, o meglio desiderio, sembra realizzato.

 

 

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Perché Weekend è il racconto di un innamoramento, la scommessa quasi impossibile di trovare un’immagine e una parola al sentimento che prende forma, che si scontra con le diffidenze e le reciproche paure. E insieme a quella spudorata libertà che dà, appunto, la consapevolezza seppure dolorosa che non ci sarà un futuro. Tutto e subito, o quasi anche sfidando i tabù. I  due protagonisti di Weekend, Russell e Glen, attori magnifici Tom Cullen e Chris New, sono infatti due ragazzi che nella cittadina inglese di provincia devono confrontarsi con l’omofobia dominante. Una situazione che uno affronta quasi come una continua provocazione al mondo e l’altro invece, più schivo, tende quasi a evitare, nascondendosi ai colleghi di lavoro, davanti ai vicini, imbarazzato che possano vederlo con l’amante o peggio ancora che capiscano che è gay. Però non è un film di «gender», è un aspetto questo nella vita dei due protagonisti che fa parte del loro incontro come altri. Qualcosa che entra nelle loro conversazioni, in quel loro annusarsi insieme a complicità, tenerezza, voglia di fuga, malinconia, risata. Mettersi in discussione, camminate nella notte, lasciare gli amici alla festa e scappare a casa. Amarsi, sesso, piacere del corpo, scene d’amore girate con sensualità speciale. Una sigarette, l’alba che non dovrebbe arrivare mai.

 

 

La scrittura (la sceneggiatura è dello stesso Haigh come il montaggio) non ingabbia mai le immagini: scorre morbida, diventa gesto, aderisce ai due personaggi, racchiude gli istanti della loro esistenza guidata senza forzature dalla regia. Che però non fa anch’essa sfoggio di sé, non accenna virtuosismi, retorica, non si ingabbia nell’ansia da prestazione.

 

 

Seguiamo nei pochi giorni la storia, entriamo tra le mura della cucina di uno dei due ragazzi perfettamente ordinata, scopriamo i suoi sussulti – che è lui, il più timido l’io narrante – e attraverso questi la fragilità dell’altro, gli archivi dei loro incontri che per uno sono un progetto artistico, e le diverse idee sul futuro. Il loro «punto di vista« è il nostro, dei due e delle loro realtà non sappiamo nulla di più.

 

 

 

Ed è questo scoprirsi (scoprirli) insieme che rende con naturalezza il sentimento: la sua esplosione da accennato sottofondo a tumulto quasi melò e la sua precarietà diffusa nel tempo presente di incertezze e di cuori fragili . È un film appassionante Weekend nel quale su entra a poco a poco, con piacere e con discrezione. Un gesto di cinema prezioso oggi sempre più raro.