Doppio suicidio d’amore a Sonezaki rappresenta nella cultura giapponese la storia d’amore per eccellenza. Scritta nel 1703 dal più grande drammaturgo del tempo per il teatro di burattini bunraku, Chikamatsu Monzaemon (1653-1724), compie quest’anno 310 anni che festeggia con una tournee europea – mettendo in scena la sua prima versione contemporanea, Sugimoto Bunraku ‘Sonezaki Shinju’, voluta e diretta dal grande fotografo e artista Sugimoto Hiroshi e con l’intervento video della giovane Tabaimo, che già rappresentò il Padiglione giapponese alla Biennale d’arte di Venezia del 2011.

Un connubio unico, sperimentale, già messo in scena in Giappone, ma che sfida ora per la prima volta il pubblico europeo portando insieme al fascino della tradizione immutata dei grandi burattini, mossi dalle abili mani del maestro Kanjuro accompagnato dalla musica dello shamisen, dal coro e dal narratore, nuovi elementi scenici, di costruzione dello spazio e di uso delle luci concepiti secondo l’estetica contemporanea legata al concetto di vuoto e penombra del maestro Sugimoto. Un’esperienza scenica che se per Sugimoto segna un passo ulteriore nel suo percorso di ricerca a cavallo tra recupero della tradizione e reinvenzione dello spazio contemporaneo proprio guardando al passato – già noto per le immagini fotografiche che evocano per la semplicità e le infinite sfumature di grigio la monocromia dell’arte zen e l’elogio della penombra di Tanizaki Jun’ichiro, oltre che per la sua capacità di concepire e reinventare spazi e manufatti d’arte legati alla cerimonia del tè ponendoli in dialogo con l’architettura e le esigenze della vita contemporanea – segna invece una nuova tappa e una sfida per l’antica tradizione teatrale e i suoi maestri.
La tensione e l’emozione sono palpabili appena il maestro burattinaio Kiritake Kanjuro esce dai camerini del Teatro Nazionale di

Bunraku di Osaka e si presenta per parlare per la prima volta alla stampa straniera di questo spettacolo due mesi prima la messa in scena. È accompagnato dal suo burattino Ohatsu, una bellissima figura femminile di cortigiana, alta circa un metro, con il volto bianco candido, un soffice kimono bianco dipinto con brevi pennellate rosse e chiuso sul davanti con un grosso nodo dell’obi a scacchi nero e oro ideati dallo stesso Sugimoto. Il maestro la posa al suo fianco e ciò che più colpisce, a rendere vana ogni parola, è lo sguardo rivolto alla beltà, uno sguardo languido, pieno d’amore, intimo, di chi si conosce e non può fare a meno dell’altro. Le mani del maestro si muovono continuamente, naturalmente, catturando tutta l’attenzione come se la sua persona fosse già nascosta dietro il burattino e a muoversi fosse proprio lei, mentre le sue parole, che tradiscono emozione e timore, confermano come burattinaio e burattino siano un’unica entità e quest’ultimo sia sentito come una persona in carne e ossa parte della famiglia.

Una sensazione che non fa che sottolineare la potenza del sentimento d’amore che il dramma Sonezaki shinju rappresentava per la ricca classe borghese di epoca Edo: una relazione d’amore irrealizzabile per le rigide regole sociali del tempo tra Tokubei, umile commesso di un negozio di soia di Osaka, e Ohatsu, cortigiana della casa di piacere Tenmaya del quartiere Sonezaki, che culmina nel doppio suicidio dei due amanti come atto estremo di un amore irrinunciabile. In un momento storico in cui il potere politico e militare era nelle mani dell’aristocrazia di spada (bushi), che imponeva il sacrificio personale fino al suicidio come atto di sottomissione e dedizione al proprio superiore o maestro, immedesimandosi in storie di battaglie e valore militare, la classe mercantile, forte del suo potere economico, dettava nuovi gusti e nuove mode legate all’espressione del piacere e del godimento terreno, e chiedeva spettacoli di kabuki e ningyo joruri (in seguito bunraku) che parlassero del sentimento personale e dell’amore passionale fino all’atto estremo della morte che ne avrebbe permesso la realizzazione nell’altro mondo.