Trecento omicidi negli ultimi 30 anni di cui l’80% rimasti impuniti. Sono questi i numeri della «mafia garganica», assunta agli onori della cronaca nazionale negli ultimi giorni, dopo il feroce agguato di San Marco in Lamis che ha lasciato per terra quattro morti, tra cui il potente boss Romito.

Numeri confermati dal procuratore nazionale Antimafia Franco Roberti, che ammette un qualcosa che non può più essere accettato: considerare la mafia garganica minoritaria, di serie B, rispetto a quella siciliana, alla n’drangheta, alla Sacra Corona Unita, e alla camorra della quale, anche per la vicinanza geografica, era considerata una costola.

La verità, però, è ben altra ed è proprio in quei numeri che descrivono una realtà complessa, poco strutturata e fortemente instabile, in un’area grande come il Gargano in cui sono presenti quasi 30 clan diversi, impegnati a controllare un territorio in cui insistono svariati interessi.

L’ultima relazione della Dia, di appena dieci giorni fa, descrive perfettamente il quadro criminale all’interno del quale ci muoviamo: «complesso e instabile», caratterizzato dalla «notevole frammentazione dei gruppi» e da «equilibri precari anche all’interno delle singole organizzazioni» basati essenzialmente su vincoli familiari e non legati tra loro gerarchicamente. Con una pericolosa «ascesa delle giovani leve» desiderose di colmare i vuoti determinati dalla detenzione di elementi di spicco e contrasti che hanno dato vita ad una «guerra di mafia tuttora in evoluzione» e connotata da episodi di «inusitata violenza».

LA CRIMINALITÀ FOGGIANA, a differenza di quelle della altre provincie pugliesi, si caratterizza infatti per la sua «eterogeneità»: tanti gruppi criminali senza un organo decisionale condiviso. Ognuno si muove ed agisce per conto proprio, anche se «i diversi sodalizi risultano spesso convergere in sinergie operative finalizzate al perseguimento di obiettivi criminali comuni».

Il tutto in un contesto dove le attività illecite più remunerative continuano ad essere il traffico di stupefacenti in particolare negli ultimi tempi quelle in arrivo dall’Albania, le estorsioni e i reati di natura predatoria, in particolar modo le rapine ai Tir ed ai portavalori.

Interessi in campi diversi, quindi, con una sorta di divisione in distretti: la mafia di Cerignola si occupa prevalentemente di rapine, assalti ai blindati; la così detta «mafia del Gargano» è dedita ad estorsioni e traffico di stupefacenti e gergalmente detta «mafia dei montanari» per via del territorio montuoso con due clan di spicco, i Libergolis e i Romito. Ed è proprio in questo contesto che sarebbe maturato l’agguato di San Marco in Lamis, che ha avuto come obiettivo Mario Luciano Romito, ritenuto uno degli esponenti di spicco del clan negli ultimi anni contrapposto ai Libergolis nella «faida del Gargano»: nonostante un tempo le famiglie fossero alleate.

Secondo quanto ricostruito in numerose inchieste giudiziarie nel corso degli anni, infatti, i Libergolis erano il braccio armato dello storico «clan dei Montanari», mentre i Romito gestivano i proventi degli affari illeciti e i rapporti con gli ambienti economici e politici. L’alleanza si è però rotta, per questioni di potere tra i vari componenti dei clan e di controllo del territorio, e una nuova guerra è cominciata.

LA TERZA ORGANIZZAZIONE criminale, la più antica, è invece la cosiddetta «società foggiana», nata alla fine degli anni ’70 da una iniziativa del boss campano Cutulo, che tentò di unire i vari boss del foggiano: ma già allora, a conferma della frammentarietà e complessità del territorio, l’esperienza durò appena poche settimane, con i clan foggiani che si misero in proprio, da lì cominciando la loro attività fatta di estorsioni, traffico di stupefacenti e omicidi efferati.

A FARE DA CONTORNO, più che da sfondo, a tutto ciò, il dato più preoccupante: «un contesto ambientale omertoso e violento, con una sempre maggiore commistione tra criminalità comune e organizzata». Come conferma il Procuratore nazionale antimafia Roberti: «Nell’ultimo processo celebrato a Foggia, condotto dalla Procura distrettuale di Bari per una catena enorme di estorsioni, non si è registrata la partecipazione della società civile. Il Comune di Foggia non si è nemmeno costituito parte civile del processo e questo è un segnale estremamente negativo che va stigmatizzato».

DAL 28 APRILE AD OGGI ci sono stati 12 omicidi e una persona sparita nel Gargano: un morto ogni 6-7 giorni, «eppure in Italia nessuno lo sa», denuncia l’ex questore di Foggia Silvis, per il quale «è arrivato il momento che la gente sappia delle quarta mafia tanto sanguinaria quanto mancante di collaboratori di giustizia perché si ha paura di pagare con la vita la collaborazione». Una mafia, aggiunge Silvis, «che può crescere e diventare ancora più pericolosa».

Ad aprile scorso è stata aperta una sezione del Ros a Foggia che mancava, con la Procura distrettuale di Bari che continua ad offrire un supporto logistico alle indagini su tutto il Gargano.
Ma difficilmente tutto questo basterà.