Per chi molto l’ha frequentato in passato è inevitabile, e comprensibile l’emozione di rimettere piede all’interno del teatro San Leonardo. Erano gli anni in cui Leo de Berardinis convocava qui un’assemblea permanente per discutere di un teatro popolare di ricerca e intanto vi preparava lavori che forse proprio il tempo trascorso carica di un nostalgico rimpianto – altri tempi e altra era anche la città, la nostalgia è inevitabile. Però quella memoria non è spenta, non del tutto, se non interpretiamo male il gesto compiuto da Ermanna Montanari al termine della sua performance, al momento degli applausi, quel chinarsi a indicare con un tocco deciso di entrambe le mani le tavole del palcoscenico. Sua e di Stefano Ricci e Daniele Roccato, beninteso, la performance.
Madre si intitola il poemetto scenico scritto da Marco Martinelli per l’attrice il disegnatore e il musicista che si dividono la scena. E si potrebbe facilmente pensare a uno di quei personaggi stregoneschi cari all’artefice delle Albe, l’Ermanna dico. Come la Belda di Lus, strega di paese oltraggiata da tutti di giorno quanto poi cercata nel segreto della notte dai tanti malati nel corpo e nell’anima. Qui in realtà i personaggi sono due, una madre e un figlio. Ciascuno con una propria storia da raccontare, o due diversi racconti della stessa storia. Ci sono di mezzo un pozzo e una bisciolina. Nel pozzo è caduta la madre, chissà come è stato. Il figlio corre affannato, che all’inizio non si capisce nemmeno cosa dice. Ma ti sembra alla tua età, adesso come faccio a tirarti su. Che poi chissà se davvero ha voglia di tirarla fuori. Nel buio che l’avvolge, un fascio di luce inquadra soltanto il volto dell’attrice, come in certi lavori dell’ultimo Beckett. E intanto lì accanto, inginocchiato a terra, Stefano Ricci va riempiendo di veloci disegni con un gessetto dei fogli di cartoncino nero, rotondi come la bocca di quel pozzo, proiettati ingranditi sul fondale, così che li vediamo prendere forma e subito sparire.

LA STORIA prende un’altra dimensione, ancora più onirica. E il contrabbasso accarezzato dall’archetto di Daniele Roccato disegna a sua volta una dolcissima partitura melodica che a tratti pare risuonare di un’eco beethoveniana, o forse è solo la suggestione di una inseguita classicità. Poi l’attrice lascia per un momento il leggìo e quando ritorna ha davvero assunto un’aria stregonesca con quei lunghissimi capelli bianchi. Ora è la madre a prendere la parola, oscillando anche lei sulla lingua romagnola che ogni tanto fa capolino da quella nazionale. T’am sent? Mi senti? Sta a vedere che lo spintone me l’hai dato te. E poi c’è quella bisciolina, lì in fondo al pozzo, che le è entrata nella carne. Insomma è un mondo magico che chiede di essere ascoltato, che grida da laggiù con la voce dei boschi che sono stati segati, dei fiumi che sono stati avvelenati. T’am sent?
Madre è un piccolo capolavoro di un teatro che ci interroga senza inseguire il facile consenso sui temi alla moda del mainstream culturale. E nella domanda che ci lascia, rivela la vera necessità del teatro. Prossime repliche al Teatro Alighieri di Ravenna (25-28 novembre) e all’Elfo di Milano (18-23 gennaio).