Una battuta in voga tra i giornalisti macedoni descrive l’intensità e l’importanza politica degli ospiti che hanno visitato la capitale Skopje per tutto il mese di settembre. Suona più o meno così: «Stai cercando i ministri tedeschi? Se non li trovi a Berlino, cercali a Skopje».

La cancelliera tedesca Angela Merkel, l’austriaco Sebastian Kurz, il segretario alla Difesa Usa James Mattis, la ministra della Difesa italiana Elisabetta Trenta, il ministro britannico per l’Europa e le Americhe sir Alan Duncan, il capo della politica estera dell’Ue Federica Mogherini e il capo della Nato Jens Stoltenberg sono nella lunga lista degli alti dignitari e diplomatici stranieri che hanno visitato la Repubblica di Macedonia in meno di un mese, in segno del forte sostegno occidentale per il processo che si concluderà con il referendum sul nome di domani.

IL 12 GIUGNO 2018, dopo quasi 25 anni di trattative, Atene e Skopje hanno deciso di porre fine alla lunga disputa sul nome. Secondo il compromesso, il vicino settentrionale della Grecia userà erga omnes – internamente ed esternamente – il nome di Repubblica di Nord Macedonia. In cambio, la Grecia promette di revocare il veto per l’adesione alla Nato e di non opporsi al processo di adesione all’Ue.

Secondo gli altri segmenti dell’accordo, l’etnia e la lingua continueranno ad essere chiamate macedone, mentre la nazionalità sarà macedone/cittadino della Repubblica di Nord Macedonia in tutti i documenti. Anche i codici internazionali rimarranno Mk e Mkd, come sono stati registrati finora all’Organizzazione Internazionale per la Standardizzazione. Solo le targhe dei veicoli saranno cambiate in Nm o Nmk.

LA CAMPAGNA è durata tutto settembre. Il suo obiettivo principale era motivare i cittadini ad andare a votare, e in secondo luogo a rispondere positivamente al quesito «Sostieni l’adesione all’Ue e alla Nato accettando l’accordo tra Macedonia e Grecia?».

Affinché il referendum sia valido, l’affluenza dovrebbe essere superiore al 50% più uno degli elettori registrati, o poco più di 900mila persone, di cui la metà più una deve rispondere positivamente. La soglia dovrebbe essere raggiunta, poiché l’affluenza media nei cicli elettorali è di circa il 58,77% e il principale partito di opposizione, il conservatore Vmro-Dpmne (Organizzazione rivoluzionaria interna-Partito democratico per l’unità nazionale macedone) non ha una posizione perfettamente chiara sul referendum. In particolare, il nuovo leader, Hristijan Mickoski, dopo settimane di reticenza, ha dichiarato che i cittadini dovranno decidere autonomamente. «Non si tratta di Mickoski o Vmro-Dpmne o Zaev e Sdsm, ma dell’intera Macedonia… In questo momento storico Vmro-Dpmne ha nuovamente valutato che questo accordo è dannoso per la Macedonia, e quindi lasceremo decidere ai cittadini in base alla propria valutazione», ha affermato Mickoski.

IL PRESIDENTE Gjorge Ivanov, alla cena di gala organizzata dalla Diaspora macedone unita a Detroit, negli Stati Uniti, ha dichiarato che boicotterà il referendum. «Per quanto mi riguarda, ho già votato. Ho votato 27 anni fa, l’8 settembre 1991. Sono stato uno di quelli che hanno votato a favore della costituzione della Repubblica di Macedonia come stato sovrano e indipendente, con il suo nome e la sua dignità. Pertanto, non andrò a votare», ha detto Ivanov.

Garantire un’alta affluenza è quindi il primo, più difficile obiettivo per il governo (guidato dai socialdemocratici della della Sdsm insieme all’Unione democratica per l’integrazione-Dui), promotore ufficiale del referendum e del Sì. La situazione è resa ancora più complicata dal fatto che la Vmro-Dpmne non ha una posizione e il fronte del boicottaggio è un movimento orizzontale senza una figura centrale, fatto di individui e partiti piccoli/ marginali motivati solo dall’obiettivo finale: il fallimento del referendum e l’annullamento dell’accordo.

I messaggi politici di tutti i diplomatici stranieri che hanno visitato Skopje erano su questa linea: «Non restate a casa il 30 settembre, in questo giorno storico. Cogliete l’occasione e dite chiaramente che tipo di futuro volete», ha detto Angela Merkel durante la conferenza stampa a Skopje.

Sebbene il governo stia pompando ottimismo sull’affluenza, mentre la maggior parte dei media pubblica sondaggi che affermano che la maggioranza delle persone sostiene la Nato e l’integrazione europea (e quindi l’accordo), la situazione non è così rosea per il Sì. Una campagna condotta male, concentrata principalmente sui benefici della Ue e della Nato e che trascura l’accordo e le sue conseguenze, combinata con il quesito complesso e non diretto, ha lasciato spazio al fronte del boicottaggio per diffondere speculazioni, sfiducia e false notizie attraverso oscuri siti web di notizie e troll.

Considerato che, secondo un recente sondaggio, solo il 3% della popolazione ha letto l’accordo di Prespa, queste speculazioni erano in qualche modo previste. Inoltre una serie di scandali di corruzione, verificatisi nell’ultimo anno e mezzo durante il governo Sdsm-Dui, ha ulteriormente minato la fiducia nella nuova élite al potere. La situazione è così allarmante che alcuni dei maggiori funzionari statali hanno rilasciato dichiarazioni secondo cui il referendum sarà considerato positivo anche con un’affluenza di 600mila elettori.

IL PORTAVOCE del parlamento Talat Xhaferi, alla domanda su che cosa succederebbe se non fosse raggiunto il quorum, ha risposto che la questione tornerebbe nelle mani delle istituzioni: «Niente quorum significa che i cittadini si astengono dal processo decisionale e lo delegano alle istituzioni elette».

Secondo un telegramma dell’ambasciata americana, diffuso da WikiLeaks e citato dal quotidiano greco Kathimerini, Skopje era disposta ad accettare il nome di Repubblica della Macedonia Settentrionale o Repubblica di Nord Macedonia già nel 2008 (sotto la coalizione Vmro-Dpmne-Dui guidata da Nikola Gruevski), a condizione che includesse il riconoscimento della lingua e della nazionalità macedone. «Un motivo in più per votare al referendum e assicurare il futuro del paese», ha colto la palla al balzo il primo ministro Zoran Zaev.

Durante un dibattito su un’emittente nazionale privata, il leader Vmro-Dpmne Mickovski ha detto che se il referendum avrà successo e «la posizione sarà chiara e la Vmro-Dpmne la rispetterà».

Considerando tutte le dichiarazioni ufficiali e le voci non ufficiali, non è escluso che la Vmro-Dpmne speri in un referendum di successo, al fine di avere un alibi durante il processo di cambiamento costituzionale che dovrebbe seguire la vittoria del Sì. Questa sarà l’ultima parte dell’impegno macedone e poi l’accordo verrà inviato ad Atene per la ratifica.

Ovviamente, a prescindere dall’esito del referendum, la strada è spianata e la comunità internazionale è pronta a sorvolare su alcune carenze riguardanti il quorum se l’élite politica spinge per la finalizzazione del processo. Il processo non è stato gestito alla perfezione, sarà raggiunta la soglia di poco più di 900mila elettori? Resta un mistero. Anche a rischio di creare un pericoloso precedente, l’élite politica locale sembra pronta al piano B, vale a dire considerare valida la soglia di 600mila voti per dare vita ai successivi cambiamenti costituzionali, che richiedono però il sostegno di almeno 10 parlamentari Vmro-Dpmne.

QUESTO THRILLER politico vivrà una seconda puntata o domani si chiarirà tutto? Come ha dichiarato l’ambasciatore Matthew Nimetz – inviato personale del Segretario generale delle Nazioni unite, che ha guidato i negoziati sul nome per quasi due decenni – l’idea di aspettare ancora è molto rischiosa. A chi dice «Aspettiamo qualche anno, avremo un accordo migliore in futuro», Nimetz ha risposto: «Non potete sapere se allora l’Ue vorrà un altro membro, come la penserà la Nato, che cosa succederà in Grecia con i cambi di governo, che cosa succederà nella regione».

*Osservatorio Balcani e Caucaso-Transeurop