L’avanzata dell’Isis prosegue sugli schermi. Dopo il video di martedì in cui minaccia le truppe Usa nel caso rimettano piede in Iraq, ieri strumento di propaganda del califfo al-Baghdadi è stato l’ennesimo prigioniero delle milizie jihadiste: nel video John Cantlie, fotogiornalista britannico, vestito come gli ostaggi occidentali prima di lui nella tuta arancione in stile Guantanamo, dichiara di essere stato catturato e di voler rivelare la verità sugli obiettivi dell’Isis in Siria e Iraq.

«So quello che pensate – dice Cantlie – ‘Lo sta facendo perché ha una pistola puntata alla testa’. Non nego di essere prigioniero ma da quando sono stato abbandonato dal mio governo non ho niente da perdere». Il conflitto con l’Isis «è un’altra guerra che non sarà vinta. Dirò la verità sul sistema e le motivazioni dello Stato Islamico», aggiunge facendo prevedere che, a differenza degli ostaggi giustiziati prima di lui, potrebbe essere usato come strumento di propaganda, magari in messaggi futuri, come lo stesso Cantlie afferma alla fine del video di tre minuti e mezzo.

Il reporter Cantlie era stato catturato in Siria a novembre del 2012 insieme al giornalista statunitense James Foley, la prima vittima occidentale dei miliziani dell’Isis. Una parodia, la definiscono i media occidentali, a cui ieri – prima della pubblicazione del video – avevano reagito le comunità musulmane britanniche. Oltre 100 imam di tutto il paese hanno firmato una dichiarazione nella quale chiedono all’Isis di liberare l’altro ostaggio britannico, il cooperante Alan Henning, minacciato di morte per decapitazione: «Noi, imam musulmani britannici, organizzazioni e individui, esprimiamo orrore e repulsione per l’omicidio senza senso di David Haines [il primo ostaggio inglese ucciso, la settimana scorsa, ndr] e per le minacce al nostro concittadino Alan Henning», un atto contrario al Corano, «il più condannabile dei peccati compiuto non da musulmani ma da mostri».

Nelle stesse ore, però, proseguiva inarrestabile l’offensiva dei miliziani di al-Baghdadi: ieri, a bordo di carri armati, hanno assunto il controllo di 21 villaggi curdi nel nord della Siria, al confine con la Turchia. Le comunità si trovano intorno alla città di Kobani, circondata dalle milizie jihadiste: «Abbiamo perso i contatti con la maggior parte dei residenti dei villaggi occupati dall’Isis», ha detto Ocalan Iso, vice capo delle forze armate curde della città, che ha riportato di brutali violenze commesse contro i civili e della fuga di massa dei residenti.

L’obiettivo appare chiaro: assumere il controllo della fascia di territorio che da Aleppo (target dell’Isis) e Raqqa e Deir a-Zor (sue roccaforti) corre lungo la frontiera con la Turchia. Una notizia che giunge insieme all’appello del Pkk ai curdi turchi perché imbraccino le armi contro lo Stato Islamico e partano per Kobani. E arriva anche insieme all’avvistamento di un drone nel cielo siriano, a nord, vicino alle aree in mano all’Isis. Che si tratti degli aerei di ricognizione che il presidente Obama aveva annunciato di voler inviare? Per ora nessuna conferma, mentre dalle stanze dei bottoni statunitensi la Casa Bianca ottiene il via libera all’intervento. Mercoledì la Camera ha approvato il piano di equipaggiamento e addestramento delle opposizioni siriane moderate (nonostante la notizia trapelata venerdì scorso di un patto di non aggressione siglato dai ribelli vicini all’Esercito Libero Siriano con l’Isis).

Una luce verde che non cancella i dubbi intorno alla nuova crociata Usa: a votare sì sono stati 273 deputati, 156 i contrari per lo più tra le file democratiche, il partito di Obama, timorose che le armi regalate ai ribelli finiscano in mano jihadista, come accaduto in passato. E i repubblicani che hanno sostenuto il presidente lo fanno rimarcando il loro scetticismo verso l’operazione, considerata troppo limitata e con scarse chance di successo: «È solo perché non ci sono alternative migliori», ha commentato il repubblicano James Moran. E mentre da Parigi il presidente Hollande annunciava l’avvio di raid aerei sull’Iraq, per ieri sera era previsto il voto del Senato Usa sullo stesso emendamento promosso dalla Camera.

Se scettici sono gli stessi parlamentari Usa, c’è poco da stupirsi per le dichiarazioni rilasciate ieri dal presidente iraniano Rowhani all’emittente Nbc: dopo aver accusato i miliziani dell’Isis di essere dei selvaggi che «vogliono uccidere l’intera umanità», ha definito «ridicola» la coalizione messa in piedi da Obama e formata da quasi 40 paesi. «Se vogliono usare droni così nessun americano resterà ferito, è davvero possibile combattere il terrorismo? – ha detto il presidente iraniano in riferimento alla promessa della Casa Bianca di non inviare marines – In ogni caso i raid aerei dovrebbe avere luogo solo con il permesso del popolo di quel paese e del suo governo».

Un chiaro riferimento alla porta che Washington ha sbattuto in faccia all’asse Teheran-Damasco che nelle scorse settimane aveva aperto alla cooperazione con l’Occidente contro l’Isis, proposta rigettata dagli Stati uniti che con Assad non intendono parlare. Preferiscono armare quelle opposizioni che con lo Stato Islamico sono venute a patti e rafforzare l’alleanza con i regimi sunniti del Golfo che permettano a Washington di indebolire l’asse sciita Iran-Siria. Anche se quei regimi sono i burattinai dietro la creazione dell’Isis.