Nell’episodio precedente, avevamo lasciato i primi spettatori alle prese con le «vues Lumière» – i film che Auguste e Louis proiettano per la prima volta a Parigi nel 1895. Nonostante alcuni tragici incidenti, il cinema è da subito un successo mondiale. La sala diventa lo standard di proiezione, il cinema libera l’immagine in movimento della nomea d’attrazione e si appresta a diventare la principale forma arte del XX secolo. Il cinematografo filma ovunque. Già nel 1896, pochi mesi dopo la prima proiezione pubblica, due operatori Lumière sono a Pietroburgo per immortalare l’incoronazione dello zar Nicola II. In questo periodo, il cinema somiglia ancora ad una sorta di teatro filmato. La macchina da presa è per lo più fissa, riprende una scena come la vedrebbe uno spettatore seduto in platea. Questo modo arcaico non dura a lungo. Prima in Inghilterra poi negli Stati uniti, i «pionieri» esplorano la grammatica del cinema emancipandolo dal teatro. La macchina da presa oltrepassa la frontiera della ribalta, entra in scena e scompone la continuità dello spazio e del tempo dell’azione con una molteplicità d’inquadrature e di punti di vista; continuità che viene ricomposta in una fase successiva che prende il nome di «montaggio» e che attira su dì sé tutta l’attenzione con esso il cinema si distingue da tutte le altre arti. Che ne sia l’essenza ? È la domanda sulla quale si costruisce la famosa avanguardia sovietica degli anni 1920.

MA, SE DA UN LATO i cineasti si allontanano dalla teatralità dei primi film, il cinema proiettato resta solidamente in sala, nei «movie theaters» come li chiamano oltre oceano. Almeno così sembra. In realtà, anche dal punto di vista della proiezione il percorso è tortuoso e gli andirivieni già in questa fase non sono rari. Soltanto, quello che accade sullo schermo è più o meno noto, perché ne abbiamo una traccia nei film ancora conservati – oggi a portata di click. Molti dei titoli più noti di quel periodo sono oggi facilmente visibili, perché di dominio pubblico (ma alzi la mano chi conosce i celebri film di Sergej Ejzenstejn, di Vsevolod Pudovkine o di Dziga Vertov, per citare i più noti di una generazione che ne conta molti di più). Quello che è meno noto è il contro campo di questa conquista del pubblico al cinema. Chi vede questi film nell’epoca in cui sono prodotti? E in quali condizioni vengono proiettati?

PRIMA DEL 1917, la Russia zarista si era dotata di una sua struttura di produzione nazionale e di diffusione di film sia russi che d’importazione. Quasi tutto questo comparto è spazzato via dalla rivoluzione, e ancor più dalla guerra civile. Dopo l’Ottobre, l’industria lascia Mosca e si stabilisce temporaneamente nella più assolata Yalta – la luce naturale resta ancora la migliore maniera di impressionare le assai poco sensibili pellicole dell’epoca. Per un breve momento, la cittadina balneare sembra poter ospitare una sorta di Hollywood dell’est. Ma già nell’inverno tra il 1919 e il 1920, le prime sconfitte dei bianchi spingono la gran parte dei produttori a fuggire all’estero. Lo stesso anno, l’industria cinematografica è nazionalizzata, anche se strutturalmente non ne resta quasi più nulla, e il blocco economico imposto al paese dei soviet non aiuta a procurarsi pellicola, macchine da presa e proiettori. Nonostante ciò, di lì a cinque anni, il cinema sovietico diventerà la più importante avanguardia mondiale.
Quando Sergej Ejzenstejn arriva a Mosca, nel 1919, il cinema non esiste praticamente più. Le sue prime esperienze sono a teatro. Non il teatro classico aristocratico o borghese. Ma il teatro d’agitprop – al tempo stesso d’avanguardia e di propaganda politica. Ejzenstejn, che ha appena vent’anni, lavora come come scenografo, come regista, come autore e anche come attore. In particolare come clown e acrobata. Già in questa sua attività performativa, che ha radici nella tradizione circense russa a carattere popolare, c’è l’idea d’attrazione. E già in queste prime esperienze artistiche nasce l’idea di un’arte di massa come «montaggio d’attrazioni» che più in là sperimenterà nei suoi film. Ora, cosa vuol dire «montaggio» a teatro ? L’idea è quella di inserire un’attrazione nel mezzo di una rappresentazione tradizionale per spezzarne la continuità. Nel bel mezzo de Il Messicano, spettacolo tratto da un testo di Jack London, Ejzenstejn organizza un incontro di pugilato. Non una rappresentazione, ma un vero e proprio match. In un altro caso, si tratta invece di estrarre il teatro dal teatro e portarlo altrove. Per esempio in una fabbrica o in una stazione o in un dopolavoro. Eisenstein non è il solo a tentare queste esperienze che in qualche modo anticipano il film senza essere ancora dei films. In questa fase aurorale della rivoluzione, l’avanguardia e la propaganda marciano ancora mano nella mano, è tutto un gruppo di intellettuali e artisti, riuniti nel collettivo del « Proletkult » a cercare di dare forma ad un arte nuova nei contenuti e anche nei modi di consumo.

QUESTE ESPERIENZE non vengono (immediatamente) dissipate quando il cinema sovietico comincia a riorganizzarsi. Non c’è tempo di aspettare che il paese si doti di un circuito di sale cinematografiche. Il cinema deve essere portato alle masse il prima possibile, là dove le masse si trovano, nelle periferie, nei villaggi, nelle campagne. Prima ancora della fine della guerra civile, sono molti a partecipare a questo sforzo di fare del cinema l’arte della rivoluzione e un’arte rivoluzionaria al tempo stesso. Alcuni, come Grigori Kozintsev e Leonid Trauberg sono poco più che adolescenti. Tra i protagonisti di quest’avventura c’è anche Dziga Vertov. Colmano il vuoto lasciato dai pionieri del cinema russo. Ma non ne prendono il posto. Saltano su dei treni chiamati agitpoezd (treni di propaganda) specialmente ideati per portare informazione politica e spettacolo nella sterminata provincia russa. Questi convogli attraversano per mesi un paese ancora dilaniato dalla guerra civile per portare in giro gli «agitki», brevi film di propaganda bolscevica. Di questi treni sono rimaste poche immagini. Un’idea del clima, della situazione, dei rischi che dovevano affrontare è messa in scena nel film Reds (1981), in cui Warren Beatty racconta l’Ottobre e la guerra civile attraverso il personaggio del giornalista e rivoluzionario John Reeds che, poco prima di morire nel 1920, accompagna Zinoviev al Congresso internazionale dei popoli d’oriente di Baku.

MA IL TRENO di Reds è un austero convoglio imbandierato. Dalle poche immagini che ci rimangono, gli agit-poezd appaiono invece come dei carrozzoni gioiosi, interamente decorati con delle pitture e dei manifesti satirici, certo di ispirazione politica, ma che giocavano allegramente con il nome che gli era attribuito (Rivoluzione d’Ottobre, Cosacco Rosso…) o con la località verso la quale erano diretti (Caucaso sovietico, Est rosso…). I treni del cinema sovietico sono in sé un’attrazione, una festa, come il circo che arriva in città. Con essi e per un breve periodo di eccitazione rivoluzionaria, il cinema riannoda con la sua origine popolare: lo spirito del circo, della fiera, del tendone che abbiamo visto nel primo episodio. Un manifesto del 1920 conferma questo legame, vi si legge una frase che sembra tratta dal romanzo America di Kafka: « venuto da lontano, questo treno vi porta dei preziosi regali. Accorrete compagni ! Il treno non si fermerà a lungo ! ». Per sapere dove andrà, appuntamento alla prossima settimana.

2. continua