Di nuovo in vendita, l’antico Monte di pietà di Napoli è in via di cessione. Intesa Sanpaolo ci aveva già provato nel 2017, adesso la trattativa con la società di lavoro interinale Generazione vincente è molto avanti. Ma in città si attende che la regione intervenga per far valere la prelazione acquisendo il bene al patrimonio pubblico. Anzi, i malpensanti ritengono che l’atto di vendita al privato sia servito a far salire il prezzo. Del resto l’edificio è vincolato così come lo sono i beni mobili, un uso commerciale per feste, albergo, negozi (come da progetto ventilato) dovrebbe fare i conti con la Soprintendenza.

CHE LA CESSIONE fosse alle porte la città l’ha scoperto per caso. Rossana Di Poce ha diffuso un pubblico appello, grazie alle foto scattate all’ingresso dell’edificio: «Prima che chiudesse per sempre, nel magnifico atrio del Monte di Pietà ci andavo a leggere. Prima che il Banco di Napoli scomparisse, prima che quel portone fosse chiuso per sempre.

QUELLE IN FACCIATA sono due sculture di Pietro Bernini, padre di Gian Lorenzo, nato a Napoli: Sicurezza e Carità (1601) sulle quali, come è scritto sotto al timpano, si fonda la magnifica opera della pietas. Prima arrivarono i tubi a mantenere tutto, per il pericolo del crollo delle partiture del fronte, e poi nessuno ha potuto più entrarci. Nessuno può vedere gli affreschi di Belisario Corenzio e tutto quanto di magnifico esiste al suo interno».

L’istituto venne fondato dai nobili napoletani, che acquistarono il palazzo da Girolamo Carafa dei duchi d’Andria nel Cinquecento. Scopo, combattere l’usura: i poveri potevano impegnare i loro averi, incluse le lenzuola, senza pagare interessi. L’edificio ha una lunga storia e una sua bellezza artistica: mobili rococò, i ritratti di Carlo di Barbone e Maria Amalia di Sassonia, opere di Battistello Caracciolo. Per secoli ha continuato a funzionare come monte di pietà. Poi è passato al Banco di Napoli, negli anni ’90 veniva aperto al pubblico interessato alla collezione. Anni di riscoperta del patrimonio cittadino ma anche di spoliazione del suo tessuto economico.

IL BANCO DI NAPOLI venne fuso con Bnl e poi ceduto poiché appesantito da debiti inesigibili ma il tempo ha rivelato che non era vero, i crediti sono stati tutti recuperati. Intanto la banca ha cambiato vari assetti fino a scomparire del tutto. La regione sta studiando il dossier, riportare il Monte di Pietà nel perimetro pubblico non è semplice, la Soprintendenza (come riportato da Repubblica) ha manifestato l’interesse a farne la sede degli Archivi del Novecento economico della città. Ma come è potuto succedere? «Sta emergendo la superficialità con cui sono state fatte le privatizzazioni in Italia, quelle degli istituti di credito ma non solo – spiega Carlo Iannello, docente di Diritto pubblico presso la Seconda Università di Napoli -. Ci troviamo difronte a un bene immobile estraneo all’attività creditizia e finanziaria della banca. Finché è stato all’interno del patrimonio del Banco di Napoli, istituto di credito di diritto pubblico, era garantita la protezione dell’interesse generale alla conservazione del valore artistico e culturale del bene».

IL MONTE DI PIETÀ non è l’unico esempio: «Caso Ferrovie dello stato – prosegue Iannello -, un’azienda del ministero dei Trasporti, diventa ente pubblico economico e poi Spa: tutti i beni sono passati nella società per azioni, inclusa piazza Garibaldi a Napoli. Una volta la stazione occupava l’intera piazza ma nel dopoguerra venne arretrata. L’area sarebbe dovuta passare dal demanio statale a quello comunale ma all’epoca non destava preoccupazione, il comune ha potuto risistemare la zona senza intralci. Poi ci sono state le privatizzazioni e quando l’amministrazione ha deciso di fare la metro ha dovuto acquistare la piazza nel 2010 da Rete ferroviaria italiana per 6,6 milioni di euro».

IL MECCANISMO con cui sono congegnate le cessioni è difficile da invertire: «Le ricchezze del sistema bancario meridionale pubblico sono state sacrificate nel processo di concentrazione, di cui ha beneficiato il Settentrione – conclude Iannello -. Adesso si trae profitto ancora su beni che non avrebbero mai dovuto abbandonare la proprietà pubblica. Al nord le fondazioni bancarie finanziano le attività culturali. Sarebbe il caso che donassero anzi restituissero il Monte di Pietà al pubblico».