Ha ragioni da vendere Luciana Castellina nello storicizzare il pericoloso conflitto in corso in Ucraina tra Occidente-Nato e Russia. Non si può (tentare di) comprendere il grande appoggio popolare in Russia alla linea del presidente Putin, senza ricordare come siano lontane le radici di tale conflitto.

Tra i secoli XIII e XVI sulle terre russe (il Rus, è bene ricordarlo, aveva centro a Novgorod e a Kiev) dominava l’impero mongolo (l’Orda d’oro). Dopo che i principi russi sconfissero i mongoli e unificarono la Russia (in questo periodo non vi era traccia di stati come Ucraina e Bielorussia) , cessarono le minacce di invasione dell’Europa dall’Est. L’impero zarista, infatti, iniziò la su espansione progressivamente verso l’Asia centrale, la Siberia e le coste dell’Estremo oriente e in direzione del Mar Nero.

Al contrario, dal XVIII secolo in avanti furono le monarchie e gli imperi occidentali che attaccarono o invasero lo spazio geostrategico della Russia. Da Federico “il Grande” a Napoleone, dagli svedesi, lituani e finnici fino alla grande coalizione tra Gran Bretagna- Francia- Impero Ottomano che con le armi tentarono di strappare alla Russia la Crimea, territorio essenziale, con i suoi porti che non congelano, per l’accesso a Mar Nero.

In seguito vennero, sempre dall’Occidente europeo, i devastanti episodi della Prima e della Seconda Guerra Mondiale, solo nel corso della quale avvenne l’avanzata verso Ovest dell’Armata rossa.
Da qui le ragioni storiche perché la Russia zarista prima, l’Urss e l’attuale Repubblica russa hanno avuto e continuano ad avere una enorme sfiducia nei confronti dell’atteggiamento delle potenze occidentali. Oggi, dell’avanzata della Nato, che dagli anno 90 del secolo scorso ha continuato a reclutare nuovi membri tra gli ex paesi socialisti fino a giungere alle porte dell’Ucraina e ad accerchiare completamente con le sue basi i confini occidentali della Russia. Mentre, come ricorda Castellina, l’allora presidente Gorbaciov aveva dissolto il Patto di Varsavia.

Dunque, vi sono ragioni più che concrete perché la Russia si allarmi e dispieghi misure, sia militari che politico-diplomatiche, per difendersi da un assedio di fatto da parte della Nato (basta vedere in Internet la mappa della basi degli Stati uniti nel mondo). Come pure vi sono motivi reali perché esista una zona di neutralità. Affinché, come ha motivato Sergio Romano nell’intervista al manifesto, l’Ucraina sia una sorta di buffer state, stato tampone che separi i potenziali contendenti. E’ questa una soluzione che si fa strada anche tra chi in Ucraina (militari compresi) vuole evitare che si ripeta uno scenario simile a quello che portò alla dissoluzione della Jugoslavia.

Infine, ha sempre ragione Castellina nel mettere in luce che la diplomazia e politica estera dell’Unione europea appare più diretta da Washington che da Bruxelles. È questa una visione che da tempo avanza anche in America latina, dove sono ben chiari i pericoli che tale situazione comporta. Più di 150 anni di dottrina Monroe e di politica imperiale degli Stati uniti a sud del Rio Bravo lo provano.

Per questo i leader di paesi latinoamericani che si oppongono alla ripresa in forze , anche ideologica, della dottrina Monroe attuata negli anni scorsi da parte del presidente Trump (America first) e oggi mantenuta dall’amministrazione Biden, cercano alleanze e sponde finanziario- commerciali con la Cina e con la Russia, piuttosto con quell’Europa con la quale hanno invece vincoli storici.

L’ultima dimostrazione è la recente missione del presidente argentino Alberto Fernández a Mosca e a Pechino per cercare di rompere la dipendenza dal Fmi e diversificare le relazioni commerciali del suo paese. Nell’incontro con Putin, il capo della Casa rosada ha proposto che l’Argentina diventi “la porta di entrata” della Russia in America latina. Con il leader cinese Xi Jinping, Fernández ha firmato un accordo per inserire l’Argentina nel progetto della Nuova rotta della seta (che comprende cospicui investimenti e finanziamenti cinesi).

Poco ha da scandalizzarsi El País, visto che “il livello di emergenza della crisi” economico- sociale dell’Argentina è in buona parte causata dall’illecito prestito di ben 54 miliardi di dollari che il Fmi nel 2018, sotto la pressione di Donald Trump, concesse all’allora presidente Macri -suo ex socio di affari – pressato dai grandi fondi di Wall Street che stavano perdendo milioni nella crisi argentina e cercavano una via di ritirata, a spese ovvio degli argentini.