I fatti di Genova e con essi i procedimenti successivi, si dice non finiranno mai. Per cinque delle dieci persone condannate dal tribunale di Genova per i fatti del G8 del 2001, ieri doveva cominciare il processo d’appello, richiesto dopo lo sconto di pena decretato dalla Cassazione nel luglio 2012, che rimandava alla Corte d’Appello genovese l’esame delle attenuanti per «aver agito sotto la suggestione di una folla in tumulto». Se venissero riconosciute le attenuanti 5 dei condannati potrebbero avere fino a un terzo di pena scontata. A Genova però ieri, per un cavillo legato alle notifiche, tutto è stato rimandato al 13 novembre.
Le giornate del G8 genovese nel luglio del 2001, durante le quali morì ucciso dallo sparo di un carabiniere Carlo Giuliani, sono rimaste impresse nella memoria collettiva, di chi c’era e di chi ha potuto scoprire solo dopo quanto accaduto, attraverso ricordi, libri, film, testimonianze e i processi che fino all’anno scorso hanno tenuto viva la memoria di quelle giornate. Alcune persone – più di altri – hanno però pagato un caro prezzo: attualmente in cinque scontano pene dai 6 ai 15 anni, condannati per il reato di «devastazione e saccheggio», un retaggio del codice fascista, fino ad allora utilizzato solo in occasione di disordini relativi al mondo ultras. Per altre cinque persone invece la pena era appunto in attesa di una possibile riduzione.
I rivoli giudiziari del G8 genovese sono durati anni, principalmente divisi in tre scaglioni: un processo contro 25 persone accusate di devastazione e saccheggio, un procedimento contro i vertici della polizia per l’irruzione alla scuola Diaz, uno sugli arresti e le torture alla caserma di Bolzaneto. In mezzo altri procedimenti per lesioni e arresti illegali. E’ mancato quello che doveva costituire il cuore dei processi legati al G8, quello per l’omicidio di Carlo Giuliani.
Durante le udienze in relazione ai 25 manifestanti accusati di devastazione e saccheggio, erano venuti alla luce molti fatti che ponevano seri dubbi sull’operato delle forze dell’ordine: a partire dalla carica, irregolare, contro il corteo di via Tolemaide (quello delle cosiddette tute bianche), fino all’uso di spranghe e bastoni al posto dei famigerati «tonfa» da parte dei Carabinieri. Durante il procedimento 4 tra funzionari di polizia e carabinieri sono finiti dal banco dei testimoni a quello di imputati per falsa testimonianza. Un diluvio di udienze aveva visto nelle aule genovesi tutti i vertici di polizia e carabinieri che gestirono la piazza.
A novembre, insieme all’appello per i manifestanti condannati, si tornerà a parlare nuovamente dell’irruzione alla Diaz, la cui sentenza in Cassazione aveva confermato le condanne contro i 25 poliziotti a processo. A metà mese – dopo il rinvio avvenuto la scorsa settimana – è infatti atteso il procedimento d’appello contro l’ex questore di Genova Francesco Colucci, accusato di falsa testimonianza. Colucci avrebbe ritrattato la sua testimonianza per salvare da ogni ulteriore accusa il suo ex capo Gianni De Gennaro. Colucci venne condannato a 2 anni e 8 mesi, a fronte di una richiesta di pena di 3 anni da parte dell’accusa. De Gennaro, oggi ai vertici di Finmeccanica, fu assolto in Cassazione. La vicenda – venuta fuori grazie ad intercettazioni – aveva scosso il mondo della polizia, perché l’accusa per De Gennaro e Spartaco Mortola – ex capo della Digos di Genova – era quella di aver spinto Colucci alla falsa testimonianza.
Anche le violenze a Bolzaneto sembrano un’eco destinata a non scemare in fretta. Due giorni fa la Cassazione ha confermato la condanna a 12 anni e 6 mesi per stupro nei confronti dell’agente Massimo Pigozzi, che a Bolzaneto lacerò la mano di un ragazzo. Uno dei tanti che, nonostante le accuse, rimase al proprio posto. Nel 2005 venne accusato di stupro nei confronti di donne «in stato di fermo».