Non è soltanto chi ama e coltiva la classicità, ma chiunque sia di equilibrata sensibilità e di qualche pretesa di democrazia, soffre oggi per quanto accade in Grecia. È la punta dell’iceberg, quasi la parola veritiera di Cassandra, quella che ci dà attraverso quella crisi l’immagine angosciosa di quanto potrebbe succedere tra un momento in altri stati europei, a cominciare dal nostro. Il combinato perverso tra la dittatura della finanza e l’inerzia di una classe politica corrotta e incapace, ha reso il paese che è stato la culla della cultura e dell’intelligenza occidentale, un terreno esplosivo, dove viene bombardata senza pietà (a suon di manganello o con i diktat di un governo senza identità) tutta l’organizzazione sociale, dai diritti del lavoro alla misura dei salari, alla libertà stessa di dissentire o di criticare.

Molti si chiedono come stia, e come reagisca, la cultura greca, un patrimonio ricco e composito che tutti abbiamo anche negli ultimi decenni rispettato e coltivato. Alla domanda risponde in modo significativo, benché non esaustivo (come del resto non è compito e potere dell’arte), un piccolo spettacolo, comparso per una sola sera anche in Italia, nel corso di una ricca tournée europea, e che ha inaugurato la stagione del Teatro Cucinelli a Solomeo, grazie al Teatro stabile dell’Umbria.

Late Night è il titolo della performance, interpretata e vissuta con grande spessore dai sei componenti del Blitz Theatre Group di Atene, tre donne e tre uomini, che ci sorprendono subito ad apertura di sipario. Perché è immediatamente chiaro come primo impatto che siamo fuori della tragedia e della classicità cui la scena greca ci ha da sempre abituato, pur con tutte le «modernizzazioni» e le riletture del caso. Qui siamo in un ambiente piuttosto delabré, il cui margine sui quattro lati è costituito da detriti e calcinacci, al di fuori dei quali si allineano casualmente sedie diverse. E questo è già un colpo al cuore, perché risuona come un non dichiarato riferimento al teatro di Pina Bausch. Anche perché, dopo qualche imbarazzo e qualche colpo di tosse, avviata una musica dall’apposito apparecchio, quelle tre coppie si mettono a ballare. Timidi se non proprio goffi, senza esibizionismi e senza numeri di bravura, che anzi uno di loro che ad ogni pausa tenta la spaccata, si ritrova regolarmente con una gamba dritta e una «a elle».

E mentre ballano balli diversi del repertorio «di sala», ci fanno sentire i loro discorsi pieni di ricordi: di Berlino, di Londra e di altre città francesi e svizzere, dove la vita aveva un suo stile e una sua decenza, rispetto a quella di Atene oggi. Senza mai nominare la capitale greca, ma col riferimento diretto di una realtà che subiscono (e cercano di evadere con i loro passi di ballo) e della loro lingua che scopre la propria felice musicalità.

Uno spettacolo struggente, da vedere e danzare col cuore, perché in quei gesti minuscoli c’è il germe pieno della rivolta che l’arte può portare contro i bagni di sangue della trojka finanziaria e contro il malgoverno della cosa pubblica, per risalire la strada impervia della privata felicità. Davvero, come dice uno di loro, «una storia d’amore in mezzo alle rovine d’Europa».