Rispetto al passato, nel terzo atto della tragedia Alitalia quello che dovrebbe essere il principale protagonista – il piano industriale – è finito subito fuori dai riflettori che illuminano il palcoscenico. Almeno nel 2008 e nel 2013, sia con i “capitani coraggiosi” chiamati a raccolta dal governo Berlusconi che con l’ingresso di Etihad nella cabina di pilotaggio, almeno a parole c’erano progetti di rilancio. Venivano declamate strategie d’azione per il futuro dell’azienda, anche solo per giustificare il bagno di sangue che ha portato ad espellere dal perimetro aziendale metà della forza lavoro, circa 12mila addetti finiti su un binario morto, pur con robusti ammortizzatori sociali. Questa volta invece la “vertenza impossibile” manca perfino di una foglia di fico messa a coprire l’impotenza del management italo-arabo di Alitalia, primo responsabile dell’ennesimo fallimento industriale.

Anche per il futuro si vola a vista. Forse per questo nelle notizie degli ultimi giorni, in gran parte legate alla trattativa non-stop con i sindacati sul versante dei nuovi “esuberi” e del taglio degli stipendi per il personale di volo, è rimbalzata l’indiscrezione che banca Unicredit, azionista suo malgrado, stia pensando di mollare tutto. Ufficialmente gli istituti di credito coinvolti nel capitale azionario (al 51%, per non cozzare con le regole Ue sul trasporto aereo) avrebbero chiesto una garanzia statale su un nuovo rifinanziamento di circa 200 milioni. Un passaggio annunciato come essenziale – altri 200 milioni arriverebbero da Etihad – per evitare il commissariamento. Ma certo è che, dopo le voci subito smentite su un possibile intervento della Cassa depositi e prestiti, è arrivata la suggestione di un coinvolgimento di Invitalia, cioè del Tesoro. Sono segnali di tempesta sui cieli di Alitalia, al di là della concreta praticabilità degli interventi.

Nel mentre al Mise si tratta. E quel “c’è ancora tanto da fare” detto di fretta da Susanna Camusso a metà pomeriggio, prima di affrontare la questione con gli altri segretari confederali, quelli di categoria e i ministri Calenda, Poletti e Delrio, è nitida fotografia dello stato delle cose. Oltre a certificare la quasi certa impossibilità di chiudere la vertenza entro la giornata, così come erano i desiderata dell’azienda. Azienda che, con il nuovo presidente designato, Luigi Gubitosi, si era peraltro tirata fuori dal tavolo poche ore prima, rifiutandosi di avvallare le controproposte sindacali su numero e modalità degli “esuberi”, e sul taglio agli stipendi del personale navigante.

Nel dettaglio, rispetto ai 2.500 lavoratori di cui l’azienda voleva sbarazzarsi, dopo il recupero di alcune parti precedentemente dichiarate da esternalizzare, come la manutenzione e pezzi di call center, si sarebbe arrivati alla proposta, governativa, di cassa integrazione straordinaria a zero ore per 24 mesi per circa 980 addetti, da avviare poi alla Naspi; al mancato rinnovo dei contratti a termine per altri 558 addetti; all’uscita dall’azienda di 142 lavoratori all’estero. Sempre un bagno di sangue, di fronte al quale i pur molto concertativi sindacati di categoria Filt, Fit, Uiltrasporti e Ugl, anche con differenti sensibilità al loro interno, stanno provando a ribadire una resistenza comune nonostante che per l’azienda questa sia l’ultima offerta, da prendere o lasciare.

Quanto ai tagli salariali dal 20 al 30% per il personale di volo, altro obiettivo su cui Alitalia non voleva recedere, la proposta di mediazione del governo, sempre più parte in causa in una trattativa teoricamente fra privati, andrebbe a ridurre la forbice per più della metà, fino ad arrivare a una riduzione dell’8% in media. Un passaggio ancora discutibile per i sindacati, che in risposta hanno chiesto di evitare ogni taglio del costo del lavoro, utilizzando il fondo di previdenza integrativo del personale di volo, con una garanzia pubblica. Intanto, fra telefonate di Paolo Gentiloni e incontri fra i ministri e azienda con Luigi Gubitosi in testa, si va avanti ad oltranza. Anche perché, come ha osservato Susanna Camusso, “non ci possano essere ultimatum, dato che le soluzioni devono essere condivise dai lavoratori”.