«Troppe fiducie? Posso garantire che aumenteranno». Mentre Matteo Renzi si assumeva in radio la responsabilità politica, morale e storica di aver messo le briglie al parlamento – 31 voti di fiducia contro i 14 di Letta, negli stessi nove mesi – nell’aula del senato tutto il tempo che avrebbe potuto essere dedicato al dibattito sulla legge di stabilità veniva consumato di rinvio in rinvio, perché il governo non aveva pronto il maxiemendamento con il quale riscrivere la manovra. Era atteso per giovedì sera, poi per ieri mattina, poi per il primo pomeriggio, poi per la sera: ma alle sette è arrivata l’ennesima richiesta di fiducia da parte di una Maria Elena Boschi travolta dai fischi dei senatori di opposizione. Poi, con calma, l’oggetto di questa fiducia, il maxiemendamento appunto.

Bizzarro anche nel contenuto, visto che cancella tutta una serie di provvedimenti di spesa sui quali si era registrato un accordo in commissione, e dunque smentisce il senato e scontenta i senatori. Possibili ricadute nel pericolosissimo voto di fiducia notturno, fissato infine alle due di notte. Renzi rischia, anche se sa di poter contare sul desiderio dei parlamentari, tutti, di continuare la legislatura, e sul sostegno non dichiarato dei berlusconiani, che prevedibilmente diserteranno in abbondanza la chiama. Nella notte dunque la conta, che porta con sé una serie di passaggi necessari a chiudere la sessione di bilancio, compresa la convocazione alle tre del mattino del consiglio dei ministri e il voto sulla nota di variazione al bilancio. Questo secondo i piani della maggioranza venuti fuori nella conferenza dei capigruppo della sera, piani che le opposizioni potrebbero far saltare con gesti estremi come l’occupazione dell’aula.

In aula i senatori leghisti, grillini e di Sel sono tornati a tratti, durante la giornata, nonostante la seduta perennemente sospesa nell’attesa che dalle riunioni tra i tecnici dei ministeri coinvolti e della task force di palazzo Chigi venisse fuori il maxiemendamento. Proteste, pugni sui banchi, un senatore del Pd testimonia di aver visto i leghisti sbattere alla Krusciov la scarpa sul tavolo. C’è chi si appella a Grasso, chi a Napolitano. Invano. Il presidente della Repubblica appena martedì ha spiegato chi, secondo lui, sono i colpevoli dei ritardi in parlamento: quelli che eccedono in emendamenti. Ma stavolta sono tutti fermi ad aspettare il governo, contemplando l’imbarazzo del viceministro dell’economia Morando. Nel frattempo il governo insegue coperture che non ci sono, e per questo deve cancellare emendamenti della maggioranza e provocare il risentimento di manipoli senatoriali; di correzione in correzione gratta via centinaia di milioni. La ragioneria dello stato trattiene il testo per ore prima di concedere l’indispensabile «bollinatura».

Alle undici di sera la seduta convocata alle dieci del mattino può finalmente partire. I senatori fanno in quel momento la conoscenza della più importante legge dell’anno. Nel frattempo la riforma della legge elettorale è ancora ferma in prima commissione, sconvocata malgrado la giornata trascorsa senza nulla da fare. Partendo da questa situazione, alle 23, l’intenzione del governo è quella di approvare la legge di stabilità per passarla alla camera e «incardinare», cioè portare in aula e aprire la discussione generale, anche la legge elettorale In una sola notte.
Per farlo è indispensabile convocare, alle prime luci dell’alba di oggi, una nuova conferenza dei capigruppo che strappi la riforma elettorale alla commissione (dove non si è neanche cominciato il lavoro né votato un solo emendamento), cambi il calendario del senato e consenta la farsa dell’approdo immediato in aula: bastano pochi minuti per cancellare, con il contingentamento dei tempi, giorni di dibattito nel mese successivo. Ma sul calendario dei lavori si apre sempre il dibattito. Se le opposizioni reggono, alla lunga notte seguirà una lunga, ultima, mattina. Poi concerto, vacanze di natale, tanti auguri..