Il mese di maggio 2018 sarà ricordato negli annali della ricerca spaziale cinese. La notizia più importante è giunta alla fine del mese: martedì 29 l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari spaziali e l’Agenzia cinese per il volo spaziale umano hanno annunciato un bando internazionale per raccogliere proposte di esperimenti scientifici da effettuare sulla stazione spaziale cinese, che sarà operativa dal 2022. Il bando è aperto a tutti gli stati membri dell’Onu. L’invito cinese è una mano tesa alla cooperazione internazionale in ambito spaziale, ma è anche un segno del ruolo crescente della Cina in un settore in cui finora ha avuto un posto secondario.

NEL GIRO DI QUALCHE ANNO, la stazione spaziale cinese affiancherà la Stazione spaziale internazionale (Iss) gestita dalle agenzie spaziali di Stati Uniti, Unione Europea, Russia, Giappone e Canada. La Iss è in orbita dal 1998 e dovrebbe esaurire la sua funzione tra il 2024 e il 2028 (dipenderà soprattutto dal budget messo a disposizione della Nasa). A quel punto, la stazione spaziale cinese sarà l’unico laboratorio a disposizione per effettuare missioni di lungo periodo.
L’annuncio congiunto è un ulteriore segnale dell’ingresso cinese nel settore della Big Science. I piani di leadership disegnati dal presidente Xi Jinping infatti non si limitano alla Terra, ma sconfinano nello spazio. Il compito è facilitato dalle difficoltà delle altre agenzie, che a partire dalla Nasa faticano a ottenere dai propri governi il budget necessario a sostenere i costi enormi dell’esplorazione del cosmo.
In realtà, il programma spaziale cinese non nasce oggi. I primi passi furono mossi già negli anni ‘50, con l’aiuto dell’Urss che fornì le prime tecnologie per i lanciatori. Ma nel 1961 i rapporti tra i due regimi si raffreddarono, e i cinesi dovettero fare da soli. Solo negli anni ‘80 la Cina iniziò a lanciare in orbita satelliti per scopi militari e di telecomunicazione. Alla fine del XX secolo iniziò anche un programma di esplorazione spaziale sulla falsariga di quelli statunitensi e sovietici.

Le imprese spaziali cinesi hanno finora seguito a distanza di quattro decenni quelle statunitensi e sovietiche della guerra fredda. Il primo cosmonauta sovietico volò nel 1961 mentre per un «taikonauta» (è il nome degli astronauti cinesi) in orbita si è dovuto attendere il 2003. La prima passeggiata spaziale cinese è avvenuta nel 2008, 43 anni dopo quella del sovietico Leonov. Anche per mettere un satellite in orbita intorno alla Luna, la Cina ha aspettato 41 anni. Usa e Urss ci riuscirono nel 1966, la Cina nel 2007 con la sonda Chang’e-1. Nel 2013, la Chang’e-3 è riuscita ad atterrare sul nostro satellite, 47 anni dopo il primo modulo made in Usa.

ORA, IL PRESIDENTE Xi Jinping vorrebbe stringere i tempi e recuperare il gap con le altre potenze anche nei settori più avanzati. La costruzione di una stazione spaziale sta procedendo a passi regolari. Il primo prototipo, la Tiangong-1 (2011-2018), ha concluso la sua missione in modo spettacolare nello scorso aprile, disintegrandosi nell’atmosfera. La successiva Tiangong-2 ha già ospitato taikonauti per soggiorni spaziali di un mese. Ma le Tiangong sono soprattutto veicoli di test per le complesse procedure necessarie ad assemblare una stazione spaziale e a rifornirla regolarmente di viveri e strumentazioni. Dal 2019 verranno messi in orbita i primi moduli che comporranno la stazione spaziale cinese vera e propria e faranno concorrenza all’ISS.
Per quanto riguarda l’esplorazione della Luna, il 21 maggio (seconda notizia spaziale del mese) i lanciatori cinesi hanno portato in orbita il satellite Queqiao, che per la prima voltà rimarrà in orbita sul lato oscuro della Luna per osservare l’universo senza il disturbo dell’atmosfera terrestre grazie a un radiotelescopio sviluppato insieme all’Olanda.

Anche nella corsa a Marte, la Cina si sta avvicinando ai primi della classe. Mentre i tentativi europei di far atterrare un proprio rover su Marte sono falliti e la missione europea ExoMars prevista per il 2020 sta incontrando diverse difficoltà – come il «crash» della sonda italiana Schiaparelli di due anni fa – nel 2020 un veicolo mobile cinese atterrerà sul pianeta rosso, fornendo dati e immagini che finora erano giunte solo dai veicoli Nasa.

NEL FRATTEMPO, i lanciatori cinesi stanno completando le reti di satelliti terrestri per attività di telecomunicazione, di osservazione e di sorveglianza. La rete satellitare Beidou, ormai quasi completa, fornirà un sistema di navigazione alternativo al Gps statunitense, con una precisione dieci volte superiore. Sistemi analoghi sono già attivi nel campo dell’osservazione terrestre, spesso con uso duale militare e civile.
Infine, l’industria cinese muove i primi passi anche nel settore più «pop» dell’aeronautica spaziale, quello dei voli privati fuori dall’atmosfera terrestre. Mentre in occidente si celebrano le gesta di Elon Musk, l’imprenditore che ha messo a punto razzi in grado di rifornire la Stazione Spaziale Internazionale, anche in Cina un pugno di startup si sta lanciando sullo stesso mercato. La più avanzata si chiama OneSpace, il suo fondatore Shu Chang ha solo 32 anni e ha effettuato il primo lancio di un razzo privato cinese per un volo sub-orbitale lo scorso 15 maggio (terzo evento del mese). Secondo i dati forniti dall’azienda, lo sviluppo del razzo avrebbe richiesto solo un anno di lavoro e 78 milioni di dollari, una bazzecola rispetto alla concorrenza. Ma molti analisti dubitano che Shu Chang abbia potuto realizzare il razzo senza sussidi del governo cinese.

IN EFFETTI, il programma spaziale cinese colpisce innanzitutto per i costi ridotti. Secondo i dati pubblici, il budget destinato alle attività spaziali dalla Cina finora è stato molto inferiore allo sforzo economico profuso da Usa e Russia. Secondo l’analista Brian Harvey, autore di «China in Space. The great leap forward», nel 2012 la Cina spendeva venti volte meno degli Usa ma questo non ha impedito grandi progressi. Oggi il rapporto è salito a un terzo. La chiave di questa strategia low cost, secondo Harvey, risiede nella scelta accurata dei settori in cui concentrare le risorse. Inoltre, a differenza di quanto avveniva durante la Guerra Fredda tra Usa e Urss, la Cina non ha dovuto finora dimostrare la sua supremazia con lanci costosi ma talvolta rischiosi e inutili dal punto di vista scientifico e tecnologico. Al contrario, ha potuto limitarsi a un numero di missioni inferiore con un maggiore tasso di innovazione tra una e l’altra.

Anche il contesto geopolitico in cui si sta sviluppando la lunga marcia verso lo spazio è assai diverso dalla guerra fredda, almeno per ora. Attraverso il suo programma spaziale, la Cina sta stringendo collaborazioni con tutte le principali potenze (tranne gli Usa, che invece hanno bandito per legge ogni collaborazione con la Cina). Oltre ad aprire la sua stazione ai paesi Onu, il governo cinese ha già firmato accordi di cooperazione con Italia, Germania, Francia, Russia e persino con l’India. Gli astronauti Samantha Cristoforetti e il tedesco Matthias Maurer hanno effettuato periodi di training congiunto con i taikonauti cinesi, in vista di future collaborazioni.
Solo nei prossimi anni si capirà se l’ascesa di una nuova potenza in un settore a forte interesse militare come quello spaziale aiuterà o meno la stabilità internazionale.

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SCHEDA

Large Modular Space Station è il nome della stazione spaziale cinese che verrà messa in orbita a partire dal 2019
e diventerà pienamente operativa dal 2022. Il modulo centrale si chiamerà Tianhe, che in cinese significa «Armonia del paradiso». Sarà composto da tre moduli, due dei quali ospiteranno i laboratori scientifici. La stazione peserà tra le 80 e le 100 tonnellate, avrà dimensioni cinque volte inferiori
a quelle della Stazione Spaziale Internazionale attuale, grande più o meno come un campo di calcio, e orbiterà
a 340-450 km di quota. Il paese che collabora maggiormente allo sviluppo delle attività sulla Stazione spaziale cinese è l’Italia, che ha realizzato il 40% dell’ISS occidentale e dunque dispone di un notevole know-how. L’Agenzia Spaziale Italiana e l’Agenzia cinese per il volo spaziale umano hanno firmato un accordo di collaborazione nel febbraio del 2017 proprio nel settore delle missioni spaziali di lunga durata.