La sua prima uscita ha come sfondo un quartierone della semi periferia nord. Per arrivarci si segue il filo dei vigili urbani nelle loro divise estive, comparsi come insoliti sassolini bianchi in questo labirinto di asfalto. Virginia Raggi non vuole l’auto di servizio, l’accompagna perciò un attivista grillino con una lancia Ypsilon, sporca come tutte le auto dei romani in questi giorni di piogge fangose – dei romani che non hanno l’autista. È un ritorno: Raggi era stata nel mercato del rione, Val Melaina, l’ultimo giorno di campagna elettorale e nel quartiere il Movimento 5 Stelle ha fatto il solito pienone di voti. Giovedì sono tornati al mercato anche i vigili urbani, hanno sequestrato 350 chili di merce irregolare e fatto multe per 40mila euro. Virginia Raggi esce dall’auto per essere presa in consegna dalla signora Emilia Maturi, dirigente del cerimoniale del Campidoglio che in una custodia di stoffa blu porta la nuovissima fascia tricolore. All’ombra di un platano, la giovane avvocata diventa la prima sindaca di Roma.

Ad accoglierla trova il procuratore capo Giuseppe Pignatone, quello che ha dovuto aprire un fascicolo sulla consulenza non dichiarata alla Asl di Civitavecchia. «Sono tranquilla», dirà lei, tante volte. Ci sono anche il procuratore generale Salvi e il presidente del senato Grasso, si ricorda il magistrato Mario Amato, ammazzato dai terroristi neri trentasei anni fa in questo punto, mentre aspettava l’autobus per il palazzo di giustizia. Raggi aveva allora due anni, adesso ha in mano un foglietto dal quale legge un breve discorso – non chiama fascisti i terroristi, dice «di destra» – con appena un passaggio in stile grillino: «Siamo qui in strada, fuori dai palazzi». Siamo su un marciapiedi. Ovviamente è emozionata, si aggiusta i capelli di continuo, il sorriso sempre un po’ forzato. Dev’essere difficile abituarsi ai fotografi. Quando la cerimonia finisce le portano un bambino, lei prova a sciogliersi un po’: «Ciao, come ti chiami». Ma il bambino non dice una parola.

In piazza Venezia l’automobile del militante grillino non può arrivare, serve un taxi per varcare la Ztl. Quando Raggi scende da Mantova 57 la polizia ha appena liberato dai turisti la pedana del monumento al milite ignoto: «Devono transitare le autorità». Ci sono solo due bandiere del Movimento 5 Stelle, la prima la porta un uomo in bermuda e sandali, bibita e marsupio. La seconda uno travestito da D’Artagnan, con la spada. Ci sono una quarantina di vigili urbani schierati sulle scale, e ci sono naturalmente i soliti fotografi: Aò tutti ’sti pizzardoni ciavemo. Intorno, nella piazza martoriata dai lavori per un Giubileo che sta per finire, si incattivisce il traffico. «Com’è giovane», dice una signora con accento veneto quando Raggi torna giù dal sacrario. Comincia a piovere. Padova 12 se la porta via.

A Porta San Paolo, davanti alla lapide che ricorda l’inizio delle resistenza romana, ci sono militari dell’esercito e della marina schierati sotto la pioggia. La sindaca depone anche qui una lapide. Lo fanno tutti i nuovi sindaci e l’ha fatto anche Ignazio Marino tre anni fa, spostandosi però in bicicletta tra due vigili idrofobi. Nando Cavaterra, che ha combattuto nei Gap, ferma Raggi prima che vada via. «Il fascismo è una brutta bestia», le dice. «Potresti essere mia nipote, vorrei venire a trovarti per parlare di cosa possiamo fare per la città noi partigiani», chiede Tina Costa, novantenne staffetta. La sindaca rimane in silenzio. Risponde però quando le si avvicina un’operaia dell’Ama in tuta da lavoro: «Si prenda cura della nostra città». «Lo farò», promette lei. Poi lascia il taxi ed entra nella Fiat punto bianca di un nuovo attivista grillino. Verso le Fosse Ardeatine. I partigiani dell’Anpi hanno un pulmino e la seguono. All’arrivo spunta il sole.

Un tipo ruvido che probabilmente dovremmo cominciare a conoscere sbarra il passo delle grotte dove fu consumato l’eccidio nazifascista: «Giornalista? A maggior ragione stai fuori». Resta fuori però anche un bel gruppo di turisti texani, ai quali spieghiamo che sono capitati qui in una giornata particolare. Non vogliono aspettare e vanno via. Quando la sindaca viene fuori la portano al registro delle visite, lei non improvvisa: «Mi impegno a raccogliere questa importante eredità per la nostra amata città e il nostro Paese», scrive. Nel frattempo un generale dell’esercito a due stelle e un colonnello dei carabinieri si avvicinano a Paolo, l’autista grillino. Girano attorno alla Fiat punto. «Lei è… voglio dire il sindaco è con lei?» Lui, un’ingegnere, si stringe nelle spalle volendo dire di sì. «Me l’avevano detto», si allontana il generale. L’auto di Paolo non ha una scorta, almeno visibile, e si infila nel traffico del Lungotevere verso l’ultima tappa, il Tempio maggiore. Aspettano il rabbino capo Riccardo Di Segni e la presidente della comunità ebraica Ruth Dureghello. Deposta sulla facciata della sinagoga la quarta e ultima corona con il nastro giallorosso, Raggi si ferma un po’ a parlare e i suoi ospiti apprezzano: «È stato un incontro molto familiare, non eravamo abituati».

Alle sei e un quarto di sera, un’automobilina elettrica azzurra si arrampica sul Campidoglio per la salita del carcere Mamertino, alla guida il consigliere grillino Daniele Frongia, incastrata dietro e un po’ scomoda c’è la nuova sindaca. Appena esce infila gli occhiali da sole e si avvia verso le telecamere. Risponde a qualche domanda, annuncia che la sua giunta, quella che – proprio su questa piazza, durante l’ultimo confronto tv – aveva detto di aver pronta ma di non poter rivelare, la completerà invece in una paio di settimane. Entro il 7 luglio, quando ci sarà la prima riunione del consiglio comunale. Sorride un po’di più e ha una battuta pronta per i saluti ai giornalisti. «Sindaca? Non mi fa impazzire, chiamatemi Virginia». Sale, veloce, la scala della Lupa e poi scompare inghiottita dalle stanze e dai dirigenti del comune che si sono messi in fila spalla contro spalla. Riappare dal celebre balcone vista Fori, dal basso si capisce solo che è di nuovo tanto emozionata, si copre la bocca. Ma nei teleobiettivi dei fotografi, giurano, piangeva. Dalla strada non si vede di più. Però lei si collega in streaming dal suo nuovo studio. Per tutto il resto c’è facebook.