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L’idea tradizionale di una improvvisa espansione della società europea intorno all’anno Mille è ormai in declino, in favore di una concezione di lungo periodo in cui l’arco cronologico della crescita economica e della popolazione andrebbe individuato fra i secoli VIII e XIII. In questo processo ebbero un ruolo una molteplicità di fattori, quali il carattere dinamico del sistema curtense e della società signorile, elementi che nella visione storiografica del passato, e ancora oggi nell’immaginario comune, erano individuati come componenti di arretratezza piuttosto che di progresso.

L’attenzione della storiografia sui fenomeni di media-lunga durata è servita anche a mandare definitivamente in soffitta il celebre mito dell’anno Mille, quello che si nutriva della bella immagine del monaco Rodolfo il Glabro, autore di una splendida cronaca che partecipava attonita a molti degli eventi in corso: «Mentre ci si avvicinava al terzo anno dopo il Mille, in quasi tutto il mondo, ma soprattutto in Italia e in Gallia, furono rinnovati gli edifici delle chiese. Benché la maggior parte di esse, essendo costruzioni solide, non avesse bisogno di restauri, tuttavia le genti cristiane sembravano gareggiare tra loro per edificare chiese che fossero le une più belle delle altre. Era come se il mondo stesso, scuotendosi, volesse spogliarsi della sua vecchiezza per rivestirsi di un bianco manto di chiese. I fedeli, infatti, non solo abbellirono quasi tutte le cattedrali e le chiese dei monasteri dedicate a diversi santi, ma persino le cappelle minori poste nei villaggi.

Mentre il mondo intero, come si è detto, si illuminava dei bianchi edifici religiosi restaurati, otto anni dopo il millennio numerosi indizi permisero di riportare alla luce molte reliquie di santi dai luoghi in cui a lungo erano rimaste nascoste. Come se avessero atteso una gloriosa resurrezione, esse si offrirono, ad un cenno del Signore, alla contemplazione dei fedeli, infondendo nei loro cuori un grande conforto».

Come scrive con ironia Glauco Maria Cantarella all’inizio del suo Manuale della fine del mondo. Il travaglio dell’Europa medievale (Einaudi, pp. 352, euro 32): «Che ne è stato dell’anno Mille? È passato, tutto qui. Non c’è stata la catastrofe che avrebbe dovuto esserci, non ci sono stati segni divini particolarmente ficcanti, ardenti, decisivi. Gli uomini che aspettavano la fine dei tempi sono rimasti delusi. La fine dei tempi è rimandata, non avrà luogo. E comunque non arriva più, per adesso». Eppure, come mostra lo stesso Cantarella, specialista dei secoli del pieno medioevo, quella fu un’epoca di cambiamenti forse non repentini, ma certo profondi. Papato, impero, monarchie, città: niente sarà più come prima.

Al di là del mito dell’Anno Mille, che come detto non ha fondamento nella realtà storica, la stessa suddivisione che usualmente facciamo tra alto e basso medioevo tende a sottolineare il fatto che l’epoca tra il primo e il secondo millennio d.C. ha segnato uno spartiacque. E benché sia ormai chiaro che i cambiamenti non sono avvenuti in una notte e neppure in pochi anni, ma se ne possano cogliere i segni almeno a partire dall’età carolingia, il periodo tra IX e XI secolo presenta caratteri di novità destinati a lasciare un segno nei secoli successivi: la nascita, la rinascita o il ripopolamento dei centri urbani; l’organizzazione di monarchie che resteranno centrali nella storia europea; la rioganizzazione dell’impero con un baricentro tedesco; la crescita d’importanza del papato; la società feudale; la ridefinizione degli «ordini» o ceti sociali.

L’insieme di questi fenomeni ponevano le premesse per la stessa espansione economica e militare dei secoli successivi. Ma c’è di più: l’ampliamento, in genere accompagnato dalla cristianizzazione, dei confini d’Europa verso nord e verso est fa sì che la stessa geografia del continente assuma in questo periodo una sua veste quasi moderna.

Come tutti i cambiamenti epocali, anche quello non fu privo di travagli. Era un «mondo in disordine», come Cantarella titola una delle sezioni del suo libro. Ed è ancora la voce del monaco Rodolfo a mostrarne i segni: «Poco tempo dopo in tutto il mondo la carestia cominciò a far sentire i suoi effetti, e quasi tutto il genere umano rischiò di morire. Il tempo diventò in effetti così inclemente che non si riusciva a trovare il momento propizio per alcuna semina né il periodo giusto per il raccolto, soprattutto a causa delle inondazioni. Gli elementi sembravano essere in guerra tra loro: sicuramente invece essi erano lo strumento di cui Dio si serviva per punire l’orgoglio degli uomini. (…) C’è da inorridire a raccontare gli orrori commessi in quell’epoca dagli uomini». Tempi essenziali alla fondazione dell’Europa, che il Manuale della fine del mondo ci aiuta a seguire nelle sue piste e nei suoi intrecci spesso confusi, sempre affascinanti.