«Non ho voluto fare un film su Craxi, ma sulla lunga agonia di un uomo di potere che lo ha perso, e va incontro alla morte». In Hammamet, il nuovo film in uscita oggi, Gianni Amelio si concentra sui sei mesi a cavallo del millennio che portarono alla scomparsa di Bettino Craxi, morto in Tunisia vent’anni fa. Non la superstar politica degli anni ’80, ma un uomo caduto – a dargli voce e volto c’è Pierfrancesco Favino – «che coltiva rancori, rimorsi, desideri, macerato fino all’autodistruzione. Esule? Latitante? Il dibattito è aperto, il film non dà risposte, ma domande ne fa».

Un taglio intimo, umanista, da sempre cifra del regista calabrese che qui piega la Storia con omissioni, reinvenzioni, personaggi fittizi. E non nomina mai Bettino, che, mentre la moglie (Silvia Cohen) passa il tempo sul divano guardando la tv – da cui spunta un Silvio Berlusconi d’annata ospite di Porta a porta – è accudito amorevolmente dalla figlia (Livia Rossi), che qui non si chiama Stefania, bensì Anita: «I nomi non si fanno perché si conoscono, sono ovvi – spiega il regista – Non ho voluto fare cronaca, ho cercato di alzare lo sguardo un po’ più in alto. E Anita è un nome che ho scelto con la volontà precisa di parlare di Giuseppe Garibaldi, figura storica che Craxi adorava».

ANCHE SE in origine, racconta Amelio sorridendo, il film era legato piuttosto a Camillo Benso, conte di Cavour: «Il produttore Agostino Saccà voleva fare un film su Cavour e il suo legame con la figlia, e me lo offre. Allora mi si accende una lampadina: ’Potremmo portare la storia un secolo più avanti, e parlare di Craxi e sua figlia’». Che nel film è arrabbiata, ferita, vuole giustizia, un personaggio dai riferimenti tragici «di un’Elettra, una Cassandra, una Cordelia». Stefania, quella vera, Amelio l’ha incontrata, come Bobo e la vedova Anna, «inaspettatamente cinefila, invece che di politica abbiamo parlato di cinema e nel film ho inserito un omaggio al suo western preferito, Là dove scende il fiume di Anthony Mann».

CON LA FAMIGLIA si sono visti principalmente nella villa tunisina di Craxi, che è il set principale del film dove si muove un Favino irriconoscibile: «Conoscevo il Craxi politico ma non l’uomo e il suo privato – osserva l’attore – ed è stato quello il mio lavoro: non sono un politico né un magistrato, nel mio mestiere devo comprendere il suo punto di vista, non posso fare altro». Una lunga preparazione al ruolo durante la quale, prosegue Favino, «ho guardato tutti i video che potevo, ho ricercato soprattutt