Gli operai sotto il ministero ad urlare in coro: «Napoli non molla!». I cartelli sono gli stessi dell’assemblea di lunedì in fabbrica: sulla sinistra l’accordo di ottobre con gli investimenti e sotto la scritta verde «Noi», sulla destra la piantina dell’Italia con gli stabilimenti Whirlpool e una croce rossa su Napoli e la scritta sotto «No». Se la «prima fabbrica certificata quattro volte» – come mostra orgoglioso più di un lavoratore sul proprio telefonino – fosse chiusa «regalerebbe braccia alla camorra», come recita lo striscione più grande dove si ricorda come «Napoli e il mezzogiorno pagano ancora un caro prezzo».

LA LOTTA DEI LAVORATORI arrivati con i pullman da Napoli ha prodotto un risultato tutt’altro che scontato. Il ministro Luigi Di Maio si è presentato al tavolo con l’azienda e i sindacati e si è finalmente ricordato del piano industriale da lui sottoscritto e della legge contro le delocalizzazioni da lui voluta. «Non si prende per il culo lo Stato italiano. Non con me, non con questo governo», ha esordito rivolgendosi ai dirigenti della multinazionale americana che venerdì aveva annunciato la chiusura dello stabilimento di Napoli per «calo di mercato» – impossibile da valutare in 7 mesi di fronte ad un piano industriale di 5 anni – con 430 dipendenti più gli 800 dell’indotto, rimangiandosi completamente il piano industriale sottoscritto il 25 ottobre sempre al Mise nel quale erano previsti investimenti e l’arrivo di un nuovo modello di lavatrice per il sito di Napoli.

«Lo Stato non può permettere che una multinazionale americana venga nel nostro Paese, firmi un accordo e poi metta per strada 700 persone, soprattutto se questa multinazionale ha preso negli ultimi anni 50 milioni di euro di incentivi – ha continuato Di Maio -. Lo Stato si farà rispettare. Si sono firmati accordi ben precisi, state creando un precedente gravissimo», ha continuato Di Maio.

UNA «TIRATA» CHE RICORDA QUELLA del suo predecessore Carlo Calenda con Embraco alla vigilia delle elezioni, unica della sua gestione ministeriale, altra azienda che voleva delocalizzare all’estero e che alla fine c’è riuscita mentre i lavoratori torinesi di Riva di Chieri riassorbiti da Ventures Capital ad oggi sono solo 146 su 280.

DAL 2014 AD OGGI la Whirlpool ha ricevuto 27 milioni di euro di fondi pubblici. Di Maio ha minacciato di revocare gli incentivi concessi fino a un massimo di 16 milioni di euro nonché sbarrare la strada al contratto di sviluppo pronto con la Regione Marche, dove Whirlpool ha sostituito la storica Indesit della famiglia Merloni. «Se non siete in grado di dare risposte e devo rivolgermi ai vertici della multinazionale ditelo subito. Non perdiamo tempo», ha concluso il suo intervento tra gli applausi dei delegati sindacali presenti.

«Non vogliamo chiudere ma individuare soluzioni per garantire posti di lavoro sostenibili a lungo tempo. Oggi una soluzione non l’abbiamo», ha risposto l’ad di Whirlpool Europa Luigi La Murgia, ex capo proprio dello stabilimento di Napoli.

Whirlpool dunque deve ragionare su quello che deve fare. «Noi non abbiamo detto che Napoli chiude, ma che vendiamo», è stata la nuova versione. E quando la segretaria nazionale della Fiom Barbara Tibaldi ha chiesto se Whirlpool ritira la chiusura di Napoli, la risposta è stata: «Ci rifletteremo».

UN TAVOLO POSITIVO per i lavoratori, ma non risolutivo, come sottolineato da Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm che attendo «che si passi dalle parole ai fatti».

Il ministro è poi sceso e a favore di telecamere ha scandito: «O entro sette giorni portano la soluzione per lasciare aperta quell’azienda e far lavorare 450 persone oppure noi gli togliamo i soldi che hanno preso dallo Stato», aggiungendo: «gli blocco quelli che gli stavamo per dare e gli tolgo quelli che gli abbiamo dato con alcuni strumenti che dovevano servire a creare più lavoro in più occasioni per le imprese». La cifra «solo per iniziare è di circa 15 milioni di euro», ha spiegato.

Fra 7 giorni però saranno convocati anche tutte le istituzioni locali dei vari siti che hanno sottoscritto l’accordo di ottobre nell’ottica di considerare la chiusura della sola Napoli come la messa in discussione di tutto il piano industriale e di tutti gli altri stabilimenti.

Oggi i lavorati di Napoli terranno l’assemblea per decidere come continuare la mobilitazione.