La collezione di saggi, recensioni, riflessioni di Giuseppe Muraca scelti e pubblicati recentemente da Ombre Corte è un formidabile strumento da maneggiare con cura. Come recita il titolo, questi testi ci restituiscono un caleidoscopio sull’intellettuale e sull’intellettualità italiani che ci parla al Passato prossimo (pp. 155, euro 14). Un passato che affonda le sue radici fin nella prima avanguardia letteraria del nostro paese, il futurismo, e che approda ad un’analisi sulla «crisi della sinistra e della società italiana», oggetto dell’intervista conclusiva, datata 2008.

QUESTA RACCOLTA, di «letteratura, storia e politica» – così specifica il sottotitolo – è da leggersi come un dramma sul lavoro vivo dell’intellettuale, sulle sue punte più avanzate, sulle sue trasformazioni, sviluppi e regressi. E come ogni opera drammatica, non manca di un’importante ouverture: «In più di quarant’anni di attività ho collaborato ad almeno una cinquantina di testate giornalistiche e di riviste» – si legge in calce all’Avvertenza – «Da allora tanto tempo è passato ed è cambiato tutto: sono cambiato io, è cambiata la società ed è cambiato il mondo».
Il motivo della ripubblicazione dei suoi articoli è presto detto, cioè l’interrogarsi su un passaggio fondamentale registratosi – e mai chiuso – negli ultimi trent’anni della storia culturale italiana: «Dall’egemonia del marxismo si è passati all’egemonia del pensiero unico e l’intellettuale ha perso la sua vecchia identità ed è diventato “massa”».

Dalla carta sembra levarsi un antico soffio vitale, quale è la dimensione engagé dell’intellettuale-militante, che attraverso l’inchiostro e i tasti della macchina da scrivere supera i confini storico-geografici, aprendo spazi di possibile nell’intricata rete della produzione culturale a livello globale. Qui non troviamo solo un forte interesse verso la critica marxista o l’ampia sperimentazione letteraria europea, ma anche un allargamento delle maglie della letteratura, che comprendono finanche la cultura beat americana. Assieme, ovviamente, alle importanti traduzioni pratiche che si sono date in Italia, e nelle quali l’autore è stato al centro, collaborando a diverse riviste di controinformazione, fondamentale anello di congiuntura tra esperienze collettive e relativi tentativi di elaborazione.

I lunghi anni di attività culturale, e politica, di Giuseppe Muraca restituiscono al lettore una storia frastagliata e discontinua della biografia dell’intellettuale, figura che convive difficilmente con la realtà circostante, spesso in radicale opposizione con essa. I nomi e le relative vicende narrate in queste pagine, frutto di un’intensa militanza lunga più di quarant’anni, costituiscono la materia viva di una serrata lotta tra il mestiere di scrivere e il vivere in un paese quasi sempre chiuso nella sua dimensione di provincia dell’Impero.

QUESTA È LA PROFONDA contraddizione che il fondatore de L’utopia concreta fa risuonare nel suo ultimo libro, e che potremmo ricondurre alla contraddizione tra autonomia del sociale ed autonomia del politico. La figura dell’intellettuale, infatti, risulta tutta presa nella tensione ontologica ed esistenziale che la vede stagliarsi sulla barricata tra l’autonomia delle dinamiche sociali e quella delle dinamiche istituzionali. Insomma, Bianciardi, Fortini, Della Mea ma anche Pasolini – intellettuali che hanno attraversato la realtà sociale del paese, facendo della penna un aratro per intere generazioni, non solo per militanti. Tutti, ognuno differentemente, attenti a evitare di cadere nella gabbia dell’intellettuale organico al partito, restando però organici alla composizione sociale di una classe di riferimento in continua trasformazione.

E POI NAPOLI, l’Istituto di Filologia moderna, via Mezzocannone e le sue librerie, con i libri che hanno accompagnato gli anni universitari dell’autore e di tante e tanti con lui: da Lukács a Muscetta, da Alberto Asor Rosa a Luporini, passando per Palazzeschi, Sanguineti, Volponi. Quindi, il ricordo dell’università partenopea, un’istituzione completamente diversa da quella che oggi in molti e molte vivono, in cui si mettevano alla prova e si praticavano nuove discipline, nuovi saperi, nuovi metodi di didattica. E una vivace socializzazione di quelle conoscenze che, senza il serrato confronto tra studenti, professori e ricercatori, sarebbero rimaste lettera morta, se non un vuoto e sterile oggetto di studio accademico. In altre parole, risuona qui quel meticoloso lavoro di confronto/scontro che solo la cooperazione della forza-lavoro cognitiva può mobilitare, dentro e fuori le istituzioni accademiche, connettendo le singole menti in quello che Marx definì general intellect.

Nel procedere della lettura, il confine tra il percorso biografico del critico letterario e la vita attiva dell’intellettuale italiano sfuma, dando vita ad un intreccio sempre più serrato tra le evoluzioni degli interessi di Muraca e quei salti, quelle rotture, quelle sperimentazioni che hanno attraversato e sconvolto la penisola nel corso del lungo «secolo breve». Rimanendo nella metafora dell’opera teatrale, potremmo ripartire il libro in tre atti, che abbracciano rispettivamente la soggettività eccezionale di Palazzeschi nel futurismo, il fiorire e proliferare delle sperimentazioni avanguardiste dei «maestri e compagni», l’intrecciarsi dell’attività politica e culturale nel «’68 e dopo». E poi, oggi, il tempo della crisi, della sconfitta, dell’appiattimento, dove l’intellettuale appare sempre più simile all’«uomo senza qualità» descritto da Musil. Passato prossimo: il presente è ancora una coda di una storia conclusa, ma allo stesso tempo sempre aperta. Questo libro può essere un vero e proprio anticorpo contro la figura fumogena dell’intellettuale, molto distante da quella che risulta dalle sue pagine e molto vicina a Perelà.