«Nel mio paese, la Repubblica Centrafricana, il tasso di analfabetismo è molto alto. La maggioranza di chi si iscrive a scuola non termina gli studi, le ragazze hanno gravidanze precoci, e i ragazzi diventano padri, contadini o pastori sin da giovanissimi. Volevo fare un film che mostrasse la difficoltà di studiare in zone remote, di difficile accesso». Così Elvis Sabin Ngaïbino ci racconta, nonostante da casa abbia poca connessione internet ed elettricità a intermittenza, la nascita del suo lungometraggio d’esordio Makongo, presentato nel concorso internazionale di Cinéma du Réel dove ha vinto il premio internazionale della Scam e quello della Bibliothèque publique. Il film segue André e Albert, due giovani pigmei Aka della zona di Mongoumba, nel sud-ovest del Paese, che decidono di creare una scuola itinerante per alfabetizzare i bimbi della loro comunità: «Io vengo da Bossangoa, nel nord, ma ero stato in quelle zone per le esercitazioni pratiche alla fine dei miei studi in geologia e mi ero innamorato del paesaggio e dei suoi abitanti. Ho conosciuto André e Albert grazie a un amico insegnante che li aveva avuti come allievi. Sono persone magnifiche, radicate nelle tradizioni del loro popolo ma con un occhio alla realtà esterna. In più è raro che i pigmei lascino la foresta per frequentare il liceo».

I PIGMEI, infatti, vivono emarginati dalla società centrafricana che, come si vede nel film, li stigmatizza con i soliti stereotipi: sono sporchi, puzzano, sono stupidi. I due giovani vorrebbero passare ai bimbi alcune conoscenze di base per poi iscriverne quanti più possibile a una vera scuola. Ma l’iscrizione costa, nei loro accampamenti l’economia si regge principalmente sul baratto e i soldi sono pochi. Così André e Albert decidono di racimolare un po’ di danaro con la vendita in città dei bruchi (makongo, appunto), una prelibatezza che matura una volta l’anno nel profondo della foresta e di cui i pigmei sono raccoglitori ed essiccatori esperti. La loro impresa si trova a fare i conti con molti ostacoli: la diffidenza dei genitori, i debiti da saldare, il razzismo e la prepotenza dei cittadini, la brutalità delle logiche mercantili diffuse in modo capillare fino alla fine del mondo. Makongo è quindi un film sulle difficoltà di emanciparsi ma anche sulla tenacia di chi non si rassegna: «Questi giovani non chiedono nulla né al governo né alle Ong, preferiscono prendere in mano il destino della propria comunità con il poco che hanno e in modo pacifico mentre c’è chi reclama i propri diritti imbracciando le armi e così facendo causa la morte di molti innocenti».

ELVIS Ngaïbino ha girato per cinque mesi conquistandosi la fiducia di una comunità di cui non conosceva né la lingua né le usanze: «Passavo con loro periodi di due-tre settimane e seguivo André e Albert nei diversi villaggi in cui insegnavano. È stato un processo continuo di apprendimento, un incontro con una cultura e con un luogo. Per la raccolta dei bruchi ci siamo spinti quaranta chilometri dentro la foresta, attraverso arbusti, liane spesse, corsi d’acqua fangosi. A volte l’umidità rendeva impossibili le riprese, bisognava fermarsi e aspettare che la macchina si decidesse a funzionare e così abbiamo perso tempo e belle sequenze. André e Albert si preoccupavano per me e per il mio tecnico del suono ma, grazie ai miei studi di geologia, avevo imparato a camminare a lungo. A volte le diverse cose che facciamo nella vita si rivelano complementari tra loro».

IL FILM è denso di fango, fogliame, radici, di corpi animali e umani. Restituisce tutta la poesia e il dolore dello stare al mondo ma stabilendo con i personaggi una distanza che non ne viola mai il diritto all’intimità: «In molti film etnologici, la voce off sottolinea la presenza di un autore esterno e questo a volte mi mette a disagio. Io ho deciso che il modo in cui si riprendono i soggetti è già sufficiente a chiarire il mio punto di vista».
Makongo nasce nel quadro di un percorso formativo promosso dagli Ateliers Varan, storica scuola di cinema documentario vicina alla tradizione del cinema diretto di Jean Rouch. È durante un laboratorio in Centrafrica che il produttore Daniele Incalcaterra ha conosciuto Ngaïbino come ci racconta: «Insieme a Boris Lojkine abbiamo voluto creare un percorso di formazione in uno dei pochi paesi al mondo in cui il cinema non esiste. Abbiamo lavorato lì per tre anni. C’è stato un primo percorso formativo di sette settimane che ha coinvolto sei ragazzi e quattro ragazze nella realizzazione di alcuni corti, tra questi c’era Elvis, molto appassionato e talentuoso». In tale cornice, nel 2017 è nato il corto Docta Jefferson (visibile gratuitamente su Vimeo nel canale ateliersvaran), incentrato su un farmacista-dottore che nella sua mini-pharma a Bangui cura e prescrive medicine a prezzi popolari pur non essendo laureato. Quando il ministero della salute vieta pratiche come la sua perché potenzialmente nocive per la popolazione, Jefferson va in crisi non solo perché sta per perdere il lavoro ma soprattutto perché teme davvero di fare del male ai suoi pazienti e gli tocca decidere del suo futuro.

AGGIUNGE Incalcaterra: «Dopo questa prima esperienza, Elvis ha proposto un progetto più articolato. Così Boris e io gli abbiamo detto tu vai a fare il film, noi troviamo qualche finanziamento. L’idea degli Ateliers è quella di non interferire nel lavoro del regista ma di permettergli di sviluppare liberamente il proprio sguardo sulla realtà che sceglie di esplorare, poi guardare insieme il girato e capire se va nella direzione che desidera l’autore. Quando ho visto quello che aveva realizzato Elvis mi sono reso conto che stava venendo fuori un film molto solido e con la mia società italo-argentina ho deciso di produrlo e di seguire l’ultima fase di montaggio al Cisa (Conservatorio Internazionale di Scienze Audiovisive) di Locarno». Makongo, che è coprodotto anche da Rai cinema, quest’estate ha partecipato con successo al programma Final Cut alla Mostra del cinema di Venezia che presenta a professionisti internazionali una rosa di film provenienti da Africa e Medioriente per facilitarne la post-produzione e l’accesso al mercato. Un percorso che potrebbe aprire delle possibilità di visione del film anche nel nostro paese.