«Quando gli artisti hanno iniziato ad articolare il discorso politico nel 1966, non eravamo sicuri di essere liberi di parlare apertamente, così ho fatto un film politico mascherato da fantascienza. Non vediamo quasi mai cosa succede, non conosciamo il paese o l’anno, volevo solo mostrare la verità di quel fatto. Prima di allora non ci era permesso di mostrare nemmeno un uomo che veniva arrestato.»

DIMOS THEOS, cineasta greco scomparso a 83 anni dopo una lunga malattia lo scorso 29 ottobre, raccontava così la genesi del suo film più celebre, Kierion, enucleando in poche frasi l’ossessiva «lotta per il visibile» che segnerà la sua scarna filmografia (quattro lungometraggi in quasi trent’anni), opere dalla circolazione limitatissima e presentate, alcune per la prima volta dopo decenni, lo scorso anno a Trieste al festival I mille occhi che assegnò a Theos il premio Anno Uno.
Dopo un folgorante esordio, insieme a Fotos Lambrinos, con il breve documentario Ekato ores tou Mai, che raccontava le ultime cento ore di Grigoris Lambrakis, assassinato con la complicità della polizia, nel maggio del 1963, da un’organizzazione di estrema destra durante un comizio (lo stesso episodio ispirerà Costa Gavras per il suo Z – L’orgia del potere), Theos, verso la fine degli anni sessanta, compie una sorta di rigenerazione «assimilativa» all’interno della cinematografia greca, girando nel 1968 il primo film apertamente politico, Kierion, in contrasto con il cinema commerciale dominante.

Pur trattandosi del famoso «caso George Polk» del 1948 ovvero dell’omicidio del giornalista americano, giunto in Grecia per intervistare Markos Vafeiadis, membro del Partito Comunista di Grecia, Kierion pone l’azione in tempi moderni creando un non-tempo, un limbo in grado di denunciare, di mettere in evidenza l’atemporalità dell’oppressione delle strutture sociali e, non a caso, durante la Dittatura dei colonnelli, il film non fu fatto circolare in Grecia ma proiettato unicamente alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1968, uscendo in patria soltanto nel 1974 con l’aggiunta di nuove scene e un nuovo montaggio.

GRAZIE ALLA LEZIONE del film noir, del neorealismo, della nouvelle vague francese e del cinema documentario, Kierion viene oggi universalmente riconosciuto come il primo lavoro, anche collettivo, di quello che più tardi verrà chiamato Nuovo cinema greco, in luce della presenza, in piccoli ruoli attoriali, oltre a quelle di Kostas Skfikas alla sceneggiatura, George Panousopoulos alla fotografia e Vangelis Serdar al montaggio, di molti registi, alcuni ancora «in potenza», come Theo Angelopoulos, Tonia Marketaki, Stravros Tornes e George Katakouzinos.

Dopo anni di esilio trascorsi in Germania, con il crollo della dittatura Theos rientra in patria per girare, nel 1976, un film che, oltre a racchiudere un’intera filosofia di cinema, diventerà l’epifania stessa del destino del suo artefice: Diadikasia. Qui il Mito di Antigone viene spogliato di ogni funzione spettacolare e analizzato unicamente attraverso i meccanismi di costruzione dell’ordine costituzionale, visti da Theos come vera e propria base del tragico, soprattutto moderno, e l’antica tragedia greca viene utilizzata per la ricostruzione delle strutture del passato e la loro correlazione con quelle moderne, una «tensione temporale» già presente in Kierion.

Il nucleo del dramma sofocleo risiede nello scontro fra due concezioni del mondo (delle quali il regista si «approprierà» per riflettere sul suo rapporto con la Grecia) e due volontà: quella di Antigone, fragile ma fortissima moralmente, di rispettare le leggi non scritte della natura (phùsis) e quella di Creonte tesa a imporre la forza dello Stato e della legge (nomos). Pertanto, il Mito diventa una dimensione senza tempo che può essere visualizzata anche attraverso l’era moderna mentre Antigone è lo specchio, ancora celato, nel quale il regista, e i suoi successivi personaggi, si riconosceranno.

TUTTI GLI EROI del cinema di Dimos Theos infatti, in una lettura intuitiva e non programmatica, camminano lungo le traiettorie, variabili e mortali, di Antigone: Grigoris Lambrakis in Ekato Ores Thou Mai, lo studente Zadik di Kierion, Meitanos in Kapetan Meitanos, i eikona enos mythikou prosopou e per ultima Hannah in Elatis Xenos, lo struggente commiato al cinema del 1996, altra rilettura del Mito, qui Orfeo ed Euridice, ancora una volta in lotta contro le limitazioni dello sguardo, contro ciò che ci viene permesso di vedere e dunque filmare.