È la nuova frontiera della battaglia globale contro i catastrofici effetti dei cambiamenti climatici e non si gioca sui tavoli negoziali né nelle piazze ma nelle aule dei tribunali. Nei padiglioni affollati della Cop24 in corso a Katowice e nel Climate Hub organizzato poco distante dalle organizzazioni sociali, le climate litigation irrompono nei dibattiti, riempiono le sale e rappresentano una novità di grande importanza nell’agenda politica e sociale.

Sono le drammatiche evidenze scientifiche e l’intensificarsi di eventi estremi a livello globale – unite alla crescente e diffusa percezione dell’urgenza di un’azione efficace – a spingere verso l’affermazione di nuovi approcci legali, centrati sul dovere di protezione della popolazione da parte degli Stati e sul tentativo di affermare anche in via giudiziale la responsabilità dei poteri pubblici nella messa in campo di risposte credibili.

Dopo anni di negoziati, manifestazioni e campagne sociali, la lotta ai cambiamenti climatici affila i suoi strumenti e sbarca di fronte alle corti di più di 25 paesi. Sono circa mille ad oggi le cause legali contro governi, imprese o singoli progetti ad alto impatto climatico, con un unico obiettivo: costruire nuovi strumenti di incidenza.

Di fronte all’inazione o alla mancanza di ambizione dei governi, agli impatti causati dalle attività industriali, allo scorrere delle Cop annuali senza avanzamenti incoraggianti, ricorrere alle vie legali è la scelta che in sempre più paesi cittadini e associazioni operano per fare pressione ed essere ascoltati.

Nel 2017 il report dell’Unep The status of climate change litigation ha realizzato un primo censimento: quasi 900 contenziosi aperti nel mondo per spingere decisori politici e imprese a politiche di riduzione delle emissioni più ambiziose. Più di 650 le cause iscritte a ruolo solo negli Usa, dove le azioni climatiche sono ormai talmente tante da eguagliare per quantità quelle contro il tabacco o l’amianto.

Seguono Australia, Gran Bretagna e Unione europea, con circa 40 procedimenti avviati alla Corte di Giustizia. Nell’ultimo anno decine di nuove cause si sono unite a quelle censite dall’Unep, come risulta dal database online curato e continuamente aggiornato dal Sabin Center della Columbia University.

Il campo delle cause legali climatiche è divenuto in pochi anni un nuovo e rilevante ambito di azione in cui si sommano attivisti, giuristi e accademici, richiamando l’attenzione dell’informazione e delle istituzioni pubbliche, che rischiano sempre più spesso di essere trascinate davanti ai giudici.

Le tipologie di azioni che rientrano sotto l’etichetta generale di climate litigation sono molteplici. La più rilevante riguarda la messa sotto accusa degli Stati, da parte di cittadini, ong o imprese, cui viene contestato insufficiente impegno nella riduzione delle emissioni clima-alteranti. L’esempio più famoso è quello intentato dalla Fondazione Urgenda, in rappresentanza di circa 900 cittadini, contro lo Stato olandese.

Nel 2015 la sentenza di primo grado del tribunale distrettuale dell’Aia ha emesso lo storico verdetto di condanna contro l’Olanda, obbligandola ad aumentare i suoi target di riduzione per raggiungere entro il 2020 il taglio del 25% delle emissioni rispetto ai livelli del 1990. La sentenza è stata confermata in appello ad ottobre 2018 ma lo Stato ha nuovamente presentato ricorso: sarà la Corte Suprema a decidere definitivamente. L’azione olandese ha contribuito ad affermare un precedente di rilievo: per la prima volta un tribunale ha stabilito che un governo è obbligato a proteggere la propria popolazione dal climate change, rispettando gli accordi internazionali sul clima.

Molti altri paesi hanno avviato cause simili, tra cui Irlanda, Regno unito, Belgio, Svizzera e Norvegia, Filippine, India, Colombia, Canada e Usa. Di fronte alla Corte di Giustizia europea è invece avviato da alcuni mesi il cosiddetto People’s Climate Case. Dieci famiglie di otto paesi diversi hanno citato in giudizio parlamento e Consiglio europeo per l’inadeguatezza dei target previsti per il 2030. Il 40% di riduzione delle emissioni non sarebbe adeguato a difendere i loro diritti fondamentali. Tra i querelanti anche la famiglia italiana Elter, di Cogne, in Val D’Aosta.

Che utilizzino il paradigma dei diritti umani, la violazione di norme costituzionali, il diritto civile o amministrativo, che si scaglino contro i governi, osteggino singoli progetti contaminanti o mettano sotto accusa major petrolifere o del carbone, le cause legali in campo climatico sono da guardare con attenzione. Lo spazio di azione che aprono potrebbe avere sulle istituzioni l’influenza che nessun altro strumento di advocacy e campaigning è riuscito sin qui ad avere.

*A Sud