«Non abbiamo alcun desiderio di, né piani per, ritirarci dall’Europa. Ma la semplice realtà è che Meta, e molti altri business, organizzazioni e servizi, fanno affidamento sul trasferimento di dati fra l’Europa e gli Stati uniti per far funzionare i propri servizi globali». È questa la dichiarazione di un portavoce di Meta (il nuovo nome dell’impero di Mark Zuckerberg) diramata quando ha iniziato a circolare la «minaccia» della compagnia di ritirare le sue piattaforme social Facebook e Instagram dall’Europa.

Una minaccia non nuova, ma che stavolta la società mette nero su bianco nel suo report annuale alla Security and Exchange Commission (Sec) statunitense. Alla voce «Government regulations» la compagnia nota infatti di essere soggetta «a leggi federali, statali e straniere riguardo la protezione e la privacy dei dati personali». E che in merito «le leggi straniere possono essere più restrittive di quelle negli Stati uniti». Esattamente quanto viene contestato nelle sentenze della Corte di giustizia europea che hanno invalidato prima l’accordo Safe harbour (nel 2015) e poi il Privacy shield (2020) con cui la Commissione europea aveva regolato il trasferimento di dati dal territorio europeo a quello degli Stati uniti: secondo la Corte infatti i paesi membri erano legittimati a intervenire – con sanzioni o altri provvedimenti – qualora non venisse rispettato «il livello di protezione richiesto dal diritto dell’Unione».

DA QUEL MOMENTO in poi, per trasferire i dati dei cittadini europei Facebook aveva fatto affidamento sulle «nuove clausole contrattuali standard» (Scc), redatte sempre dalla Commissione. Ma «nell’agosto 2020 – si legge nel report – abbiamo ricevuto la bozza di una decisione preliminare del Garante della Privacy irlandese (l’Irlanda è la sede legale di Facebook in Europa, ndr) per la quale il fatto che le piattaforme di Meta si servano degli Scc per il rispetto dei dati degli utenti europei non è in conformità con il Gdpr (il regolamento sulla privacy europeo, ndr)», e ne ha proposto la sospensione. La decisione definitiva in merito dovrebbe arrivare nella prima metà del 2022, e se dovesse confermare i rilievi preliminari – spiega la frase incriminata -: «Ci ritroveremo probabilmente impossibilitati a offrire alcuni dei nostri prodotti più significativi, compresi Facebook e Instagram, in Europa».

Una sorta di “dire a nuora (la Sec) perché suocera (la Ue) intenda”: minacciare di sospendere le attività di Fb e Ig in Europa è naturalmente paventare enormi perdite economiche e di impiego nel continente. Ma è ancora una volta la stessa Facebook a notare ciò che i giudici le contestano, ovvero quanto l’Europa sia più attenta allo sfruttamento dei dati dei propri cittadini. Senza trascurare che a motivare le sentenze dei giudici della Corte di Giustizia aveva concorso la scoperta, dovuta alle rivelazioni di Edward Snowden, dell’accesso che le agenzie di intelligence Usa hanno ai dati (compresi quelli di cittadini non americani) estratti e conservati dalle grandi piattaforme americane – corporation transnazionali che rivendicano un diritto quasi divino sulle informazioni personali di miliardi di persone.