Il rapporto tra letteratura e realtà è da sempre una questione alquanto complicata. Soprattutto se si intende utilizzare la narrativa come critica sociale e politica del presente. Da un bel po’ di tempo ormai, inoltre, questa funzione sembra essere divenuta una delle caratteristiche principali di una parte consistente della letteratura di genere del nostro paese.
Autori come Valerio Evangelisti, Wu Ming, Massimo Carlotto, Sandrone Dazieri sono difficilmente inquadrabili all’interno di quella che una volta veniva definita letteratura d’evasione e le loro opere si caratterizzano anche e soprattutto per la critica feroce che applicano allo stato di cose presenti.
Anche i due pards che si celano dietro il nome di Tersite Rossi, da una decina d’anni, usano prevalentemente la forma del noir per decifrare e mostrare le tendenze più profonde che regolano e indirizzano gli attuali meccanismi di potere della contemporaneità.

IL LORO ULTIMO ROMANZO, intitolato Gleba (Pendragon, pp. 393, euro 18), coniuga, ancora una volta, il perfetto meccanismo del thriller con una critica approfondita e puntuale alla società contemporanea. Per fare questo, gli autori non si limitano a offrire una fotografia particolareggiata del reale ma è come se mettessero insieme frammenti di intenso realismo con pezzi di realtà, per così dire, distorta.
Distorsioni che nascono dall’individuare quelli che sono i meccanismi in atto a livello sociale, economico, politico, le tendenze più profonde e, nella narrazione, farli andare avanti, svilupparli fino alle loro conseguenze estreme. In questo modo si ottiene anche una sorta di effetto di straniamento nel lettore che si trova a passare da situazioni conosciute – spesso prese dalla realtà effettiva – a distopie sicuramente possibili, ma ancora non in atto (o almeno non completamente). Il tutto accompagnato da un ritmo incalzante, da un senso di attesa che va in crescendo, insomma da una scrittura e da una struttura narrativa che impediscono di staccarsi dalla pagina scritta.
Il punto di partenza degli autori può essere rintracciato, come già nel precedente I signori della Cenere, nel concetto di lotta di classe dall’alto, teorizzato e analizzato soprattutto da Luciano Gallino e Marco Revelli. E già dal titolo, Gleba, appunto, si capisce chiaramente che gli attuali vincitori del conflitto mirano a instaurare una società dai tratti medievalizzanti.

NELLE VICENDE dei protagonisti principali del romanzo ampio spazio viene dato, oltre che al terrorismo (sia islamico, sia politico: ritornano le Brigate Rosse) alla formazione – come ormai, con un termine non neutro, viene chiamata quella che una volta era l’istruzione – e al lavoro.
Il romanzo è davvero un noir molto duro, soprattutto quando vengono raccontati alcuni episodi tratti dalla realtà oppure quando si sofferma sulle condizioni attuali del mercato del lavoro o sulla competitività assoluta veicolata in ambito formativo. Non è però un libro disperato, anzi sembra aprirsi alla speranza che sia possibile comunque sottrarsi al gioco prevalente per imparare il mestiere più difficile, quello di vivere.