Ammissibile, in quanto «esemplare e rappresentativo dei meccanismi di espropriazione dei diritti di partecipazione e della stessa democrazia sostanziale». Il Tribunale internazionale e permanente dei diritti dei Popoli ha accettato il ricorso sul caso Tav presentato, l’8 aprile, dal Controsservatorio Valsusa – guidato dall’ex magistrato Livio Pepino – e da un folto gruppo di amministratori locali, che avevano denunciato «la violazione dei diritti fondamentali degli abitanti della Valle, in particolare, il mancato coinvolgimento del territorio e lo scavalcamento delle istituzioni locali nelle decisioni concernenti l’opera (anche in violazione di convenzioni internazionali)».
I diritti dei No Tav sembrano aver trovato un loro tribunale, fuori dalle aule di giustizia. Il Tribunale permanente dei Popoli, fondato da Lelio Basso sull’esperienza del Tribunale Russel, è, infatti, un istituto di opinione volto a promuovere il rispetto universale ed effettivo dei diritti fondamentali dei popoli, determinando se tali diritti siano violati. Si è occupato di Tibet, Afghanistan, Bophal in India, Algeria, Nicaragua e ultimamente delle attività delle imprese transnazionali in Colombia, dove ha affermato che è diritto fondamentale dei cittadini e delle comunità «essere consultati al fine di ottenere il consenso libero, previo e informato prima di adottare e applicare misure legislative o amministrative che li danneggino, prima di adottare qualsiasi progetto che comprometta territori o risorse».
La Val di Susa non è la Colombia né il Vietnam, si tratta di situazioni completamente differenti, ma l’erosione di democrazia esiste anche nel cuore dell’Europa. Magari meglio mascherata. «Nei Paesi cosiddetti “centrali” si evidenziano situazioni più volte rilevate nei Paesi del Sud in sessioni del Tribunale per quanto riguarda il rapporto tra sovranità, partecipazione delle popolazioni interessate, livello delle decisioni politico-economiche, che mettono in discussione e in pericolo l’effettività e il senso delle consultazioni e la pari dignità di tutte le varie componenti delle popolazioni interessate».
La procedura sul Tav è avviata. La prima seduta pubblica dovrebbe svolgersi entro la fine dell’anno e in sei mesi si avrà la sentenza. Saranno programmate udienze, convocati testimoni e promossi contraddittori con chi difende il progetto. «La sentenza non sarà ovviamente esecutiva – ha spiegato, ieri nella sede di Pro Natura, Pepino – ma interverrà nel dibattito pubblico e non potrà essere ignorata». Presente all’annuncio dell’ammissione del ricorso anche Alberto Perino, leader storico dei No Tav: «Nel movimento non facciamo solo barricate di tronchi, le facciamo anche di carta, come nel caso di questo ricorso. Lottiamo contro un’opera devastante e inutile. Sette persone sono in galera con l’accusa di terrorismo, perché volevano far cambiare idea al governo. Siamo, dunque, tutti terroristi e all’esecutivo diciamo che la linea non si deve fare perché la Torino-Lione esiste già».
Emilio Chiaberto, sindaco di Villar Focchiardo, ha messo in luce l’equivoco dell’accordo di Pracatinat del 2008: «L’Osservatorio di Virano lo utilizza per dimostrare il consenso delle istituzioni locali. Non è vero, non è mai stato ratificato». Il documento non riporta nessuna firma oltre a quella del presidente Mario Virano. A raccogliere la completa storia dei «diritti negati in Val di Susa» è il secondo volume del Controsservatorio curato da Paolo Mattone. Non è solo una storia italiana, come ha spiegato Paolo Prieri che con il Forum contro le grandi opere inutili e imposte ha messo in rete diverse esperienze europee, dalla Francia alla Romania.