«Non ho chiesto nulla e non mi candido a nulla»: a metà pomeriggio Bobo Maroni cerca di chiudere il rubinetto delle dietrologie e della supposizioni sul suo passo indietro. «Ho un accordo con Berlusconi? Certo, per fare il presidente del Milan», ironizza l’ex braccio destro di Bossi. Molto prima di lui, in mattinata, avevano già escluso ogni possibile ruolo di governo per il governatore uscente della Lombardia sia Berlusconi che Salvini. Il Cavaliere, dai microfoni di Circo Massimo, era stato perentorio: «Lo escludo nella maniera più assoluta». Salvini, più che mai inviperito per l’improvvisata di Maroni, era stato anche più definitivo: «Se lasci il tuo incarico in Regione Lombardia, evidentemente in politica non puoi fare altro».

Eppure questo diluvio di smentite non è bastato a tacitare voci e ipotesi. Stefano Parisi arriva addirittura alla denuncia esplicita: «Mossa concordata con Fi contro la Lega che mette a rischio la vittoria del centrodestra in Lombardia». Il capo dei senatori Paolo Romani lo rimbecca subito, «Congetture deliranti che nemmeno meritano un risposta», ma la realtà è che in privato sono parecchi gli azzurri non del tutto convinti che a determinare la rinuncia di Maroni siano stati solo il rischio di una possibile condanna e della conseguente mannaia imposta dalla legge Severino e neppure certi che le parole di Berlusconi vadano prese per oro colato.
È un fatto che la disponibilità di Maroni potrebbe rivelarsi preziosa ove i risultati elettorali rendessero necessario un governo di larghe intese. Berlusconi avrebbe a disposizione un«cavallo di Troia» all’interno del Carroccio. Del resto non è un segreto che già da mesi le componenti governiste della Lega, cioè lo stesso Bobo e Giancarlo Giorgetti, stiano cercando, nonostante i rapporti non ottimi tra loro, una strada per agganciare l’eventuale governo Pd-Fi. Ma per lo stesso Pd dover trattare con una Lega in tinta Maroni sarebbe molto diverso che doverlo fare col ringhioso Salvini. Anche in caso di vittoria secca del centrodestra, peraltro, Maroni sarebbe una pedina preziosa nel gioco di Berlusconi che potrebbe proporlo come premier, forte delle sue notevoli esperienze di governo, e in caso di rifiuto da parte di Salvini reclamare per un forzista la poltrona di palazzo Chigi.

Sono proprio questi ragionamenti che spingono molti azzurri e altrettanti leghisti non dare per chiusa la vicenda. Ma per capire se siano solo castelli in aria oppure se davvero nel corso dei frequenti incontri intercorsi a dicembre tra Bobo e Silvio sia stata messa a punto una strategia sottile bisognerà aspettare. Di certo, invece, la mossa del governatore ha provocato un terremoto nel domino delle candidature. Solo oggi arriveranno i sondaggi commissionati dal capo azzurro alla Ghisleri: quello sulla eventuale sfida Fontana-Gori e quello che vede invece Mariastella Gelmini al posto dell’ex sindaco leghista di Varese. Maroni si è schierato ieri a favore di Fontana, chiedendo alla trojka Berlusconi-Salvini-Meloni di decidere con celerità. Da Arcore non arriveranno segnali prima del responso dei sondaggi, ma la Lega ha già fatto sapere di considerare quell’oracolo irrilevante: Fontana non si discute.
In effetti sottrarre a Salvini la candidatura in Lombardia, dove il Carroccio supererà probabilmente Fi, sembra fuori discussione. Berlusconi insiste non perché ci speri ma perché mettere sul tavolo la Lombardia serve a ridiscutere e trattare su tutto. A partire dal Lazio. Ieri il leader azzurro ha frenato sull’ipotesi di candidare Maurizio Gasparri invece del sindaco di Amatrice Pirozzi. Ma, convenevoli a parte, l’obiettivo è quello.

Il lato oscuro della vicenda Maroni, per Fi e a maggior ragione per Salvini, è che ora un margine di rischio, per quanto limitato, nella Regione guida d’Italia c’è. Fontana è oggettivamente un candidato molto più debole sia di Maroni che della Gelmini che di Giorgetti, il leghista che avrebbe potuto risolvere la questione accettando la candidatura che ha invece rifiutato. Certo, a sinistra LeU ha rifiutato ogni invito a coalizzarsi a sostegno di Gori e oggi stesso dovrebbe candidare Rosati, ma tenere la posizione, ove apparisse davvero possibile strappare la Lombardia alla destra potrebbe rivelarsi improbo. Nel Lazio, invece, Grasso e l’Mdp hanno già scelto di schierarsi con Zingaretti, a differenza di Si che resta contraria. La divisione all’interno di LeU non sarà il miglior viatico per le contemporanee elezioni politiche.