La locomotiva economica d’Europa rallenta la sua corsa ma non accenna a fermarsi. Nonostante la crisi dell’export e i pesanti effetti collaterali della guerra dei dazi tra Usa e Cina, il numero di lavoratori in Germania non è cambiato.

Secondo la Bundesagentur für Arbeit (Bfa) anche questo mese il tasso di disoccupazione è risultato inchiodato al minimo storico del 5,1%: esattamente come negli ultimi quattro mesi, e proprio come previsto da tutti gli analisti.

Nessuna sorpresa, dunque, a Berlino se «il settore dell’occupazione si è mantenuto stabile anche in presenza del rallentamento generale dell’economia mondiale dimostrando così la sua robustezza» come si legge nella relazione di 79 pagine pubblicata ieri dall’Agenzia che ha sede a Norimberga.

Ciò nonostante, anche se a sentire la Bfa la crisi non incide sul mondo del lavoro «cominciano a essere visibili i primi segnali di rallentamento dopo il lieve peggioramento della performance economica della Germania» conferma l’ente, peraltro in perfetta linea con gli ultimi dati sul Pil che conclamano la «recessione tecnica» di Berlino.

Tuttavia, «in parallelo l’occupazione soggetta a sicurezza sociale continua ad aumentare, seppure non in maniera decisa come l’anno precedente. La domanda di nuovi dipendenti si sta muovendo al massimo livello, ma è anche destinata a indebolirsi nel prossimo futuro» rileva il rapporto mensile della Bfa che dettaglia gli addendi incapaci di variare il conto finale.

Perfino se, nella realtà, «la disoccupazione e la sottoccupazione sono leggermente aumentate da luglio ad agosto, anche destagionalizzando il dato». Conti alla mano, significa circa 44mila persone senza più un impiego: negli ultimi trenta giorni hanno contribuito a fissare a quota 4.572.000 il totale dei beneficiari di sussidi e indennità di disoccupazione nella Repubblica federale.

Corrispondono, in ogni caso, a oltre 164mila domande in meno rispetto al 2018, mentre l’Agenzia del lavoro rileva anche la crescita della copertura dell’assicurazione sociale in tutti i Land ad eccezione la Turingia.

In testa alla classifica emergono le città-stato di Berlino (+3,4%) e Amburgo (+2,2) davanti alla Baviera (+1,8). A beneficiarne sono soprattutto i lavoratori qualificati (aumentati di quasi l’80%) e i dipendenti del sociale, prima dei metalmeccanici (+53% rispetto al 2018) e di chi lavora nel settore delle costruzioni (+49%).

Si riduce così lo storico divario tra la parte Ovest ed Est del paese. Nella ex Ddr la disoccupazione oggi risulta pari a “solo” il 6,4% mentre negli Stati occidentali non supera il 4,8%.

Ma la Germania rimane pur sempre un treno a due velocità. Secondo il rapporto Bfa a Brema la disoccupazione non accenna a smuoversi dal 10,3%, a Berlino coincide ancora con l’8%, e nella Sassonia-Anhalt è il 7% della forza-lavoro.

Una crisi capillare che si avverte in Mecleburgo-Pomerania, nel profondo Nord-Est, quanto nel cuore produttivo del Nordreno-Vestfalia dove la percentuale di chi cerca un lavoro è perfettamente uguale (6,7%).

In pratica va bene, come sempre, solamente nella ricca Baviera, dove risulta appena il 2,9% di disoccupati, e nel confinante Baden-Württemberg che si limita al 3,3%. Rimangono i due veri “motori” della locomotiva spinta anche dalla Renania-Palatinato (4,4) e dall’Assia (4,5).