Palazzine in mattoni rossi, la palestra, la chiesa, i pannelli solari sul tetto, il quartiere del Cep a Pisa è un quartiere di case popolari, una periferia da sempre considerata «difficile», fino agli anni 80, perché popolata- oltre che dagli operai della Saint Gobain, un’aristocrazia rossa che dava al Pci percentuali bulgare nelle urne – anche da bande di piccoli malavitosi locali denominati buffamente «banda Bistecca», oggi perché in una città deindustrializzata e in un quartiere impoverito il loro posto è stato occupato in parte da immigrati impiegati nelle più diverse, e spesso precarie, occupazioni. In ogni caso il Cep non somiglia affatto alla provincia degli Usa. Eppure lì, ieri in tarda mattinata, si è verificata una sparatoria da Far West, stile Macerata.

UN RAGAZZO, SGRIDATO dagli avventori della caffetteria Il Tirreno per le sue pericolose evoluzioni in motorino, ha reagito sparacchiando ai passanti, prima con una scacciacani e poi, dopo un rapido passaggio a casa, con una calibro 22. Sangue tra i tavolini del bar e quattro persone finite all’ospedale, tre pisani e un tunisino, fortunatamente nessuno in gravi condizioni. Chiamata la polizia, si è scatenata una caccia all’uomo fino a piazza dei Cavalieri e ai lungarni. L’autore della sparatoria, Patrizio Iacono di 21 anni – ci raccontano i vicini di casa – si era trasferito al Cep da poco con madre e fratello, tutti e tre molto schivi, e da poche settimane era stato scarcerato, in libertà vigilata, con precedenti per rapina. Le armi che ha usato – ci tengono a far sapere dalla questura, che ha diffuso le foto segnaletiche – sono clandestine. Non è provato, ancora, un’effetto emulazione dello sparatore seriale fascista Luca Traini, ancor meno che si tratti di «un folle».

MA IN ITALIA ,al netto delle pistole con matricola abrasa della malavita e della criminalità organizzata, girano sempre più armi, con rischi crescenti di killer che sparano nel mucchio, per ragioni politiche come Traini o antipatie da bar come Iacono. A dirlo è l’Opal, l’Osservatorio permanente sulle armi leggere di Brescia, che pure non è ancora riuscito, dopo anni di richieste, ad avere dal Viminale dati ufficiali trasparenti e aggiornati sulle licenze personali. Facendo valutazioni incrociate con dati Istat e bilanci delle aziende, la stima dell’Opal è che esistano in Italia all’incirca un 1 milione e 300 mila civili legittimi detentori di armi da fuoco non da caccia, in costante crescita da 2014. Come Traini con la sua Glock calibro 9 comprata per 600 euro nell’armeria di Macerata, la maggior parte di questi non chiede il porto d’armi per difesa personale, sottoposto a più controlli e sanzioni, ma per tiro sportivo, nei poligoni.

PER CONTRASTARE le regole molto più restrittive imposte dalla direttiva europea 477, ulteriormente definita dal Parlamento europeo a maglie ancora più strette, è nata una vera e propria lobby – come la National Rifle Association negli Usa – che va sotto il nome, appunto, di Comitato direttiva 477, «associazione per la difesa dei diritti dei detentori legali di armi», che unisce in un unico coordinamento: Assoarmieri e Conarmi – le principali associazioni di produttori -proprietari dei poligoni, federazioni sportive e venatorie. Si batte per leggi che aumentino a facoltà di difesa personale o per l’inviolabilità del domicilio e perché il Parlamento recepisca la direttiva europea in senso di una minore restrizione al possesso di armi dei privati. Da un anno i soci possono essere «oblatori», cioè fare munifiche donazioni.

IN UN VIDEOMESSAGGIO sul sito dell’associazione il presidente, Giulio Magnani, chiarisce che «pur essendo apolitica», in questa campagna elettorale darà indicazioni di voto per forze politiche particolarmente sensibili alle richieste della lobby. Dall’archivio del sito risulta che l’associazione abbia stretto rapporti soprattutto con: Matteo Salvini, Marco Scurria, responsabile del comitato elettorale di Giorgia Meloni, Ignazio Messina di Italia dei Valori, il sottosegretario al ministero dell’Interno Domenico Manzione.