Interrogarsi oggi sulle tematiche del sacro implica forse la volontà di superare innanzitutto il suo contrario, il profano, cercando nella condizione umana la sua possibile manifestazione. A sollecitare la riflessione sulla sacralità contemporanea ci provano I teatri del sacro, un festival davvero particolare, fosse solo per chi se ne fa promotore, la Cei (Conferenza episcopale italiana) che lo finanzia con una cifra rilevante, finalizzata alla produzione di nuove opere.

Non sorprende quindi che questo progetto biennale abbia una larga partecipazione di artisti e teatranti indipendenti, in perenne ricerca di co-finanziatori. Oltre 250 sono state le proposte inviate alla commissione esaminatrice, che ne ha passate 22 (alle quali vanno dai 4 mila ai 16 mila euro), tra amatoriali e professionisti, presentate in forma di spettacolo compiuto la settima scorsa, in diversi spazi di Lucca.

Città delle cento chiese, borghese e ricca anche di bellezze architettoniche, non è casuale che sia Lucca – in una Toscana rossa per eccellenza, mantenutasi per decenni democristiana, prima di questa marmellata pidiessina – a ospitare I teatri del sacro, giunto quest’anno alla sua quarta edizione con la direzione artistica di Fabrizio Fiaschini. Uomo sensibile alla creatività contemporanea, Fiaschini ha aperto il festival a diverse esperienze teatrali, poco visibili in giro per l’Italia, impegnate tra spiritualità, religione e rito, che poi il teatro è quest’ultimo tout court.

Nel fitto cartellone spiccano i nomi di Roberto Rustioni, Teatro delle Moire, Armamaxa, Roberto Corradino, Teatri 35, Andrea Cosentino, César Brie, Olesen-Pinheiro, trascinando in città addirittura le donne del gruppo f.pl. femminile plurale, fondato, nel 2007, e guidato da Marina Rippa e Alessandra Asuni, a Napoli. Si tratta di un teatro «sociale», nato a Forcella, in una zona «difficile» in cui le donne lottano in prima linea e attraverso i ripetuti laboratori teatrali, seppure condotti a singhiozzo, riescono a organizzare una quotidianità diversa. Ora sono in diciassette per questo Pe’devozione – liturgie sacre e profane nella vita di tutti i giorni con una presenza scenica forte, in uno spettacolo di grande artigianalità e rigore. Vogliono uno spazio di riferimento fisso, in cui continuare il lavoro teatrale, che ormai si sta allontanando dai ritmi dell’amatorialità.

Lo hanno chiesto all’assessore alla cultura di Napoli, intervenuto all’incontro «Napoli altrove», ospitato a corollario degli spettacoli partenopei in programma. Al festival è stato presentato infatti anche il nuovo lavoro di Punta Corsara, altro gruppo cresciuto in una zona «difficile», Scampia, ma che gode ormai di un notevole successo.

E sono bravi i sei ragazzi, hanno imparato il mestiere, in particolare, Gianni Vastarella, alla sua prima regia con questo Io, mia moglie e il miracolo. Poco risolto, ci è parso, sia De Revolutionibus – sulla miseria del genere umano, che il duo Carullo-Minasi ha confezionato su un paio di «Operette Morali» di Leopardi, sia Prego dello Stabile di Anghiari per la troppo sussurrata solitudine di Giovanna Mori.