Mentre la stagione del Macerata Opera Festival volge al termine, possiamo dire che la scommessa giocosa e solo in apparenza svagata dell’Elisir d’amore risulta vincente sull’impegno ipertrofico del Flauto magico di Graham Vick e sull’effetto dejà vu della pur sempre bellissima Traviata degli specchi. Le ragioni, com’è ovvio, sono l’esecuzione musicale e l’allestimento scenico, che qui trovano un equilibrio raro e prezioso.

Da un lato la scelta di Francesco Lanzillotta, direttore musicale dello Sferisterio, di proporre la partitura di Gaetano Donizetti nella sua integralità, riaprendo i cosiddetti tagli «di tradizione», non per accanimento filologico, ma per restituire dignità a una scrittura musicale raffinata troppo spesso ridotta a una sequenza di melodie graziose: così, ripristinando le riprese variate, le modulazioni e i giri armonici completi (in particolare nei duetti) possiamo «leggere» il romanzo sentimentale scritto dal compositore in tutte le sue sfumature e non un arbitrario compendio a uso e consumo di un pubblico sottovalutato a priori.

LA CONCERTAZIONE di Lanzillotta è rigorosa, nitida, ricca di variazioni dinamiche, capace di corse baldanzose e soste contemplative dove è necessario, fino all’abbagliante Una furtiva lagrima, sempre benedetta dalla richiesta di bis.

Dall’altro lato l’allestimento di Damiano Michieletto, che ha debuttato a Valencia nel 2011 e da allora non ha smesso di mietere successi in tutta Europa, sviluppa l’azione rendendo ragione senza inerzie di tutti i tagli riaperti, attraverso una regia inventiva e sempre rispettosa dei caratteri che, assieme alle scene di Paolo Fantin, ai costumi di Silvia Aymonino e alle luci di Alessandro Carletti, trova la sua collocazione ideale nell’enorme palco dello Sferisterio, «il cui fondale – dice il regista – riesce a non far vedere i limiti tra cielo e mare e sul quale forse imbastirò una nuova opera dal titolo ancora da definire nel 2020».

LA SUA VERSIONE dell’opera coloratissima e contemporanea («perché la musica parla un linguaggio universale e non quello vincolato dalle didascalie di un libretto») è nata dai versi iniziali («Del meriggio il vivo ardore / Temprar l’ombre e il rio corrente»), subito associati «al mare e alla spiaggia, come spazio fisico e psicologico di svago e riposo». Così la vicenda è ambientata in uno stabilimento balneare in cui Adina gestisce un bar e Nemorino fa il bagnino; Dulcamara piomba in scena smerciando bevande energizzanti e, quando Nemorino gli chiede «la bevanda amorosa della regina Isotta», gli spaccia un’eloquente polvere bianca.

Ottimo il cast di cantanti-attori, divertenti e divertiti: Mariangela Sicilia (Adina) sfoggia un timbro ricco e pastoso, dalle colorature adorabili, John Osborn (Nemorino) un fraseggio variato, sempre tenero e convincente; Alex Esposito (Dulcamara) e Iurii Samoilov (Belcore) sono istrionici e fisicamente travolgenti, brava anche Francesca Benitez (Giannetta). All’anno prossimo con il Macbeth di Emma Dante.