«I fiori più belli sono i primi ad essere tagliati; a che servono i bravi giardinieri?». «Potrei perforare la punta delle mie scarpe. Le è chiaro questo? Potrei farlo. Ma non voglio. Non ne ho la forza. Io non perforo la punta di queste mie scarpe. Sarebbe soltanto un assurdo spreco di energie. Io ora aspetto la fine, sa? Così come anche Lei aspetta la Sua fine. Come tutti aspettano la propria fine». «D’inverno poi, Lei deve sapere, il dolore cade sotto forma di neve. Gli uccelli canori sono i messaggeri del dolore. Il debole non ha una legge che lo difende». Sono i pensieri del pittore Strauch, che si aggira, segnato da una mite e tenebrosa follia – «la ragione e il cuore se ne erano andati da lui, scacciati e relegati lontano» – nelle gelide valli di un villaggio d’alta montagna. Il giovane praticante di medicina, che ha avuto l’incarico di osservarlo di nascosto e di redigere un rapporto, passa dallo stupore alla vicinanza, a una sorta di fascinazione. «Che lingua è quella in cui si esprime Strauch? Che cosa me ne faccio io dei suoi brandelli di pensiero? Quel che all’inizio mi pareva scissso, slegato, ha i suoi nessi “veramente incredibili”. L’insieme è una terrificante trasfusione di parole praticata al mondo e agli uomini, “un processo brutale contro la demenza”, per dirla con lui, “un incessamte sottofondo musicale capace di rigenerarsi”». La storia, le parole di Strauch, raccolte e raccontate dal giovane, sono il primo grande romanzo di Thomas Bernhard, Frost (Gelo): uscito nel 1963, fu accolto come una rivelazione.
Un quadro degli echi, dei clamorosi consensi e delle furiose polemiche che accompagnarono la sua pubblicazione, continuando poi negli anni, ci è offerto dal libro di Sepp Dreissinger Immer noch Frost 26 Betrachtungen zu Thomas Bernhards erstem Roman, Album Verlag (pp. 184 con 46 fotografie, € 24,90). Le testimonianze – riportano in gran parte interviste di Dreissinger, che è saggista, fotografo e regista di cinema – sono di genere diverso, alcune registrano solo un ammirato consenso, come quelle del grande attore Bruno Ganz o di Claus Peymann, il regista che mise in scena, in modo mirabile, tanti drammi di Bernhard a Salisburgo. Altre ci dicono di più. Rolf Staudt, tipografo presso le case editrici Insel e Suhrkamp, ci racconta il suo incontro con Bernhard, «tranquillo, riservato e quasi timido», e di come seguì alla lettera i suoi suggerimenti nella programmazione della copertina del romanzo: sfondo grigio, titolo in grandi caratteri, di colore bianco, a suggerire una sensazione di «gelo». La regista Sabine Mitterecker rievoca la riduzione teatrale di Gelo e la sua messa in scena a Vienna, nel 2009, presso il MUMOK (Museum der modernen Kunst). La cosa più difficile, ci dice, era mantenere, nel dramma, la straordinaria dimensione musicale del testo in prosa: «la lingua è musica, il romanzo è una perfetta composizione, il testo è una partitura». In una lunga intervista il fratellastro di Bernhard, Peter Fabian, che è medico, ricorda le loro interminabili conversazioni sulle malattie del corpo e della psiche. Forse, suggerisce, hanno influenzato l’ideazione del pittore Strauch e di altri personaggi. Ma registra, onestamente, la secca reazione del fratello scrittore: quello che lui scrive è sempre e solo «finzione».
Sull’avventurosa pubblicazione di Gelo abbiamo la testimonianza di Wieland Schmied. Amico di lunga data di Bernhard – si conobbero nel 1954, quando scrivevano tutti e due sulla rivista studentesca «Morgen» – Schmied gli fa intravedere la possibilità, come redattore presso la casa editrice Insel, di fargli pubblicare un romanzo. Ma si deve fare in fretta, perché resterà da Insel solo ancora per qualche mese. Bernhard non batte ciglio e accetta la scommessa: del romanzo non ha ancora scritto una pagina, ma sei settimane dopo, nel settembre 1962, appena in tempo, Schmied riceve il manoscritto pronto per la stampa. In una lunga e densa intervista Manfred Mittermayer – è l’autore di un’importante biografia di Bernhard (2015) – riflette sulla tematica e sullo stile di Gelo. Quello che oggi riconosciamo immediatamente come l’inconfondibile caratteristica dello stile di Bernhard – periodi che si allargano in giganteschi cerchi, una struttura ripetitiva affine alla musica – si può dire che nasca nel 1970, con Das Kalkwerk (La fornace). Gelo, Amras (1964) e Verstörung (Perturbamento) (1967) sono testi geniali, ma diversi, non hanno ancora il Bernhard-Sound. Sull’atmosfera di Gelo e sulla figura del pittore Strauch, Mittermayer avanza alcuni preziosi suggerimenti: Otto Weininger – l’autore di Sesso e carattere (1903) – ispira molti dei pensieri di Strauch; forse c’è anche la presenza dellle pagine sul «Grande Gelo» nell’Orlando di Virginia Woolf; per la morte di Strauch nella neve, Bernhard può aver pensato a Robert Walser, un autore da lui molto amato, e alla sua analoga fine.
Molto suggestive sono le testimonianze del regista cinematografico Felix Radax e del fotografo Johann Barth. Radax rievoca gli incontri con Bernhard per i documentari girati per conto del Westdeutscher Rundfunk: Drei Tage (1970) e Der Italiener (1971), che, grazie alla presenza di un Bernhard grandiosamente monologante, ebbero un notevole successo. Purtroppo, commenta Radax con rammarico, la sua proposta di filmare Gelo non fu accolta: la giudicarono troppo costosa. Barth ritorna indietro agli anni delle sue prime foto di Bernhard, quelle fatte al Cafe Bazar di Salisburgo, a cui seguirono le istantanee, staordinarie, di quando andò a trovare lo scrittore nella sua casa di Gmunden (molte di queste splendide foto sono qui riprodotte, insieme a quelle, altrettanto notevoli, di Dreissinger).
Verso la fine del volume troviamo le reazioni di scrittori e critici della generazione successiva, tutti austriaci: Peter Henisch, Thomas Mulitzer – i suoi nonni conducevano a Weng, il paese di Gelo, la locanda frequentata da Strauch e dal giovane praticante di medicina, locanda descritta nel romanzo in toni grotteschi e apocalittici: Mulitzer, nel suo romanzo Tau (Rugiada), vuole raccontare se e come Weng è cambiato … – Paul Jandl, Josef Winkler. Nessuno di loro mette in dubbio la grandezza di Bernhard, il problema, per chi scrive, è come liberarsi dal terribile pericolo dell’imitazione. Winkler cerca di distanziarsi, e lo fa in modo radicale: lo stile di Bernhard è una macchina che gira a vuoto, è noioso e di nessun interesse. Certo, deve poi ammettere, Gelo, Verstörung, Korrektur (Correzione) sono dei grandi romanzi …
Non poteva mancare, nel volume, orgogliosa, paradossale e beffarda, la voce dello stesso Bernhard. A Dreissinger, che gli chiede, in una intervista del 1981, quale valore ancora attribuisce al suo primo romanzo, risponde così: «È scritto, volutamente, in modo tale che fra cento anni si potrà ancora leggerlo, perché la sua lingua, così com’è, non può assolutamente invecchiare. I temi invecchiano, lo si sa, una volta sono in primo piano, una volta nelle retrovie. Per decenni la gente non ha letto Hamsun, o chi per lui, ma poi questi in un modo o nell’altro ritornano. È una cosa che càpita a tutti. Lei la conosce anche per quanto riguarda le abitudini: per un lungo periodo uno mangia caviale e dopo tre settimane smette, di colpo, e mangia solo salame, per anni. Ma il caviale ritorna sempre, anche se per poco».