Elisabetta Sgarbi, La lingua dei furfanti, Betty Wrong, libro + film.
Gli affreschi delle chiese di Valle Camonica che Gerolamo Romanino ha dipinto tra il 1532 e il 1541 si intrecciano con l’autobiografia di Elisabetta Sgarbi, autrice del film che li ha visti per la prima volta bambina, accompagnata dallo zio, la mamma, il fratello maggiore e li rivisita oggi con la consapevolezza dell’adulto. Ma in qualche modo continua sempre a vederli dal basso con lo sguardo di un io fanciullo empatico e quasi spaventato dalla rozzezza dei personaggi. «A Pisogne, a Breno, a Bienno Romanino tira a far ‘cagnara’, non v’ha dubbio alcuno», dice magnificamente Giovanni Testori. «Egli sembra costringere i suoi personaggi a venire sulla scena a furia di calci nel sedere; e non è meraviglia che, una volta lì, essi, tra impetuosa incapacità a organizzarsi, in lingua e vergogna, finiscano col gonfiar tutto; a cominciare dalle loro stesse membra per finire alle parole che ruttan fuori quasi nubi di fumetti odoranti d’osteria, e alle piume dei cappellacci, che si rizzano, unte e bisunte, come quelli di tacchini incazzati». Il bellissimo film di Elisabetta Sgarbi«La lingua dei furfanti. Romanino in Valle Camonica» esce ora in cofanetto con un libro dai preziosi saggi di Giovanni Reale, Vittorio Sgarbi, Sergio Risaliti, Luca Doninelli, Giorgio Ficara. Si svolge come un racconto sognato che si apre con un forte temporale e rivive sensazioni ancestrali in cui le contadine ricamano e fanno l’uncinetto nella penombra di abitazioni intraviste attraverso le trine di tende smosse dal vento o dietro inferriate dove appaiono volti di donne e di uomini molto simili nella fisiognomica a quelli dipinti da Romanino. Nella «Presentazione di Maria bambina al tempio» della chiesa di Santa Maria Annunciata a Bienno le figure affiorano lampeggiando dal nero come dal buio del passato. Di fronte al sacrificio dell’agnello, la bambina non comprende come mai il suo papà abbia legato l’agnello a quel modo. «Non conosce, lei, la dura legge del mondo, il contratto a tempo determinato che lega tutte le cose all’esistenza terrena». Passato e presente sono le premesse e il controcanto alle immagini dello «Sposalizio di Maria», dove la raffigurazione centrale di Maria, che allunga la candida mano con disponibilità femminile verso quella di un Giuseppe anziano dai capelli e barba bianca ma dall’atteggiamento mite, è attorniata alla sinistra e in alto da ceffi dall’aria canagliesca intenti a guardare con goffa curiosità. Saranno stati tutti così gli abitanti della valle o il pittore raffigura un’umanità tanto incancrenita nell’odio e nell’ingratitudine da arrivare a mettere a morte il proprio creatore? La fede di Romanino predilige il Cristo dei poveri ed è proprio tra i poveri che lo pone, contadino tra i contadini, montanaro tra i montanari, tarchiato, anziano. Il pittore come il temporale iniziale mette a soqquadro la raffigurazione cristologica tradizionale. Scriveva Pasolini: «Era quello che la sua cultura non gli permetteva di essere e in particolare proprio nella raffigurazione di Cristo». Sempre in bilico tra i toni solenni, ieratici, della grande storia religiosa e l’immediatezza quasi famigliare e dimessa delle vicende umane colte negli stessi luoghi in cui sono nate, il film si muove tra autobiografia e svelamento, tra affabulazione e fede. Ma anche tra l’assordante silenzio del mistero e gli acuti assoli strumentali in un continuo movimento dall’alto al basso e dal basso in alto, da destra a sinistra e da sinistra a destra, che testimonia la ricerca del luogo in cui è avvenuta la rivelazione. La straordinaria sequenza della «Discesa agli Inferi» di Santa Maria della Neve a Pisogne, in cui Gesù spezza la porta degli Inferi e «trae a forza le anime di Adamo e dei Patriarchi», comincia con un pianissimo che cresce di immagine in immagine, passando attraverso i volti espressionistici dei demoni, fino al raggio di luce che proviene dall’alto di un rosone. Quello che colpisce di più è il volto accigliato del primo della schiera dei diavoli. Ma forse ancora di più la profonda pietà di Gesù. Quasi non crede che l’abitudine al Male abbia potuto rendere questi uomini tanto incerti di fronte al Bene.